41 bis, Stefano Anastasìa, Garante dei detenuti del Lazio: “una riforma del 41 bis non è tabù”
Torniamo a parlare di carcere e 41 bis con Stefano Anastasìa, Garante dei diritti dei detenuti per il Lazio. Sappiamo davvero com’è la situazione?
Mentre il dibattito sul 41 bis infiamma l’opinione pubblica e rischia di diventare uno scontro tra chi lo vuole abolire e chi non lo vuole toccare, abbiamo intervistato Stefano Anastasìa, 56 anni, Garante delle persone private della libertà per la Regione Lazio.
Nella regione Lazio ci sono poco meno di 100 detenuti al 41bis. In tutto il territorio nazionale 728 (Relazione sull’amministrazione della giustizia” pubblicata dal Ministero della Giustizia) di questi 12 donne e 716 uomini. In Italia meno di 10 persone sono al 41 bis per reati legati alle associazioni di terrorismo interno e internazionale.
Si rischia che il regime speciale e la discussione che si sta generando diventi uno scudo dietro quale nascondere le possibilità di una seria riforma carceraria.
41 bis, i carceri nel Lazio
Il 41 bis nel Lazio si trova in apposite sezioni delle carceri di Rebibbia e Viterbo. Partiamo da qui. Ci spieghi come sono strutturate le carceri di massima sicurezza dove esiste il 41 bis, e cos’è?
Noi non abbiamo nella regione Lazio degli istituti interamente dedicati al 41bis. Abbiamo delle sezioni all’interno degli istituti che, per la maggior parte in realtà, ospitano detenuti di altri regimi.
Sia a Viterbo che a Rebibbia, il Nuovo Complesso, ci sono dei complessi dedicati al regime di 41 bis separate ovviamente da quelle degli altri.
A Viterbo la sezione è un edificio a sé dove ci sono 50 detenuti al 41 bis mentre a Rebibbia non si tratta di edificio separato ma ci sono 2 reparti, il G7 e G13 che sono dedicati alle persone in 41bis. Nel penitenziario romano in tutti e due i reparti ci sono 42 detenuti in totale.
Parliamo di sezioni interamente dedicate e gestite da personale specializzato, quello della polizia del gruppo operativo mobile, uomini addestrati alla gestione delle persone in 41 bis.
Quello di cui stiamo parlando, è un regime speciale in cui si hanno 2 ore d’aria al giorno, un’ora di cosiddetta socialità che s’intende come la possibilità di stare con altre persone. Attenzione, le persone con cui si può socializzare sono sempre lo stesso gruppo; i detenuti in 41bis possono andare all’ora d’aria e poi incontrarsi in una piccola sala per 60 minuti e sempre con le stesse persone. Sono gruppi di 4 persone che vengono selezionati dall’amministrazione penitenziaria in modo tale che non ci siano né particolari amicizie, tantomeno inimicizie. Lo scopo è che possano passare quelle ore a disposizione fuori dalla camera detentiva senza che ne vengano problemi di altro genere.
Nel resto della giornata sono chiusi ognuno nella propria stanza, con il bagno e le poche cose concesse, in un regime di sostanziale isolamento. Rigido controllo della corrispondenza, della possibilità di mandare lettere.
Infine, i detenuti hanno a disposizione un colloquio mensile con i loro cari che è alternativo alla telefonata.
41 bis, 728 i detenuti in regime speciale
Quando Cospito ha iniziato lo sciopero della fame, l’opinione pubblica si è accorta che al 41 bis non ci sono solo persone legate alla criminalità organizzata. Ci può raccontare di quale percentuale stiamo parlando?
Il rapporto è sbilanciato già tra la popolazione carceraria generale e i detenuti al 41 bis, in particolare tra coloro che sono sottoposti a questo regime. Abbiamo poco più di 700 detenuti al regime speciale, di questi solo una decina sono coloro che non fanno parte dei circuiti della criminalità organizzata di tipo mafioso ma di organizzazioni di stampo terroristico. Cospito fa parte di una estrema minoranza, dove ci sono gli ultimi terroristi delle Brigate Rosse.
Oltre al regime speciale, esiste l’alta sicurezza, dove era detenuto Cospito stesso prima dello spostamento al 41 bis, che differenza c’è?
L’alta sicurezza è un circuito separato da quello dei detenuti comuni, ha una limitazione nelle comunicazioni con l’esterno, i detenuti di alta sicurezza possono fare 2 telefonate al mese invece che 4 o 6 come i detenuti comuni. Però hanno una vita comune, non sono isolati, possono frequentare le scuole e fare le attività del penitenziario. A Rebibbia ci sono tantissime persone in alta sicurezza che hanno fatto ottimi percorsi di studi universitari oppure hanno fatto teatro in carcere con discreto successo. L’alta sicurezza è finalizzata a separarli dagli altri detenuti per evitare ovviamente che possano avere un predominio o possano condizionare le attività degli altri.
Il fatto che il regime di 41 bis sia stato pensato da Giovanni Falcone ne rappresenta oggi un tabù che ci preclude a una seria riflessione?
È chiaro anche dalla discussione di questi giorni che sul 41 bis c’è un tabù, come se non si potesse parlarne o discuterne. D’altro canto è importante dire che tutte le Corti in cui le eccezioni che sono state sollevate, anche la Corte europea, ne hanno escluso la “assoluta illegittimità”.
Tutte le corti costituzionali nazionali e sovranazionali riconoscono l’esigenza di un regime di particolare isolamento per i detenuti particolarmente pericolosi.
Il problema sono i contenuti di questo isolamento. Su quello, purtroppo vice un tabù che non ci consente di discutere nel merito di questi contenuti. Le faccio un esempio; la Corte Costituzionale è dovuta intervenire anche sulla possibilità che queste persone potessero cucinarsi delle cose autonomamente, perché gli era vietato. Una circolare ministeriale stabilisce il numero massimo di libri e matite, di fotografie che i detenuti in 41 bis possono tenere. Ci sono una serie di norme che sono prive di senso rispetto alla finalità dell’istituto, che è impedire che il capo di una organizzazione criminale possa dare indicazioni all’esterno.
Rispetto a questo pericolo vanno limitate le forme di comunicazione con l’esterno, ma tutto il resto? Il fatto che possano stare all’aria 2 ore invece che le 4 previste normalmente o che possano stare nella sala socialità solo per un’ora non ha nessun senso se non quello vessatorio.
41 bis, Giovanni Falcone non lo pensava così
Lo vedeva così anche Giovanni Falcone?
Nel senso comune il 41 bis non è quello che aveva pensato Falcone, una misura preventiva per evitare che i capi, appunto, potessero mantenere il controllo dal carcere. Si tende a immaginare il 41 bis con il cosiddetto regime speciale, cioè una ulteriore pena afflittiva a quella che si deve scontare. Questo è illegittimo.
Quando la società civile prende posizione su questo, spesso riecheggia l’espressione “tortura di Stato”. Un modo che impedisce il percorso di reinserimento che dovrebbe essere sempre il fine del regime carcerario. Pensa sia vero che stiamo abusando del 41 bis?
La misura del 41 bis viene disposta in prima battuta per 4 anni e poi si rinnova, di 2 anni in 2 anni; dopodiché ci sono persone, e sono molte, che non devono scontare un ergastolo ma sono al 41bis. Queste persone scontano la loro pena, fino all’ultimo giorno, in 41bis e il giorno dopo sono liberi. Anche dal punto di vista del percorso “trattamentale” che si fa in carcere è una cosa priva di senso, quando una persona sta finendo di scontare la sua pena perché non viene rimessa in alta sicurezza per l’ultimo biennio così da poter essere reinserita in un percorso di socializzazione? Che senso ha lasciare le persone isolate fino alla fine della pena?
Reinserimento, quei percorsi da garantire ai detenuti
Parliamo dei percorsi di reinserimento, quando incontra i detenuti in carcere ha la percezione che non gli stiamo offrendo qualcosa oltre alla pena detentiva?
In gran parte è così, in carcere di fanno anche alcune attività importanti e che coinvolgono i detenuti, appunto la scuola o il teatro, piccole attività lavorative, però si tratta sempre di offerte limitate che per forza di cose raggiunge una minoranza delle persone detenute. La maggioranza dei detenuti è in carcere e aspetta la fine della pena, con il rischio che se entri in carcere con difficoltà varie di inserimento sociale, quando esci dalla detenzione hai meno risorse di quante ne aveva prima.
Come definirebbe la situazione delle carceri nel Lazio?
La definirei complicata. Abbiamo un tasso di affollamento più alto della media nazionale, se in Italia il tasso di affollamento è del 110% (110 detenuti ogni 100 posti detentivi) nella nostra regione saliamo fino al 120%.
Ci sono poi istituti particolarmente sovraffollati e altri meno ma la situazione in generale si sente, Regina Coeli, Civitavecchia, Viterbo e anche il piccolo carcere di Latina, contengono più persone di quante effettivamente possano accogliere. Questo pesa sulla vita interna rendendo difficile gestire l’istituto, accedere alle attività. Aggiungiamo una cronica carenza di personale, in particolare della polizia penitenziaria ma non solo. La carenza di personale pesa poi anche sui detenuti perché se non hai educatori o se non hai il personale di polizia che controlla lo svolgimento delle attività, se non hai questo le attività non possono partire.
In molti istituti del Lazio nel pomeriggio non si può fare niente perché non ci sono persone in turno.
E nelle carceri minorili le cose come vanno?
Nella regione Lazio abbiamo un solo carcere minorile, quello di Casal del Marmo, un istituto molto piccolo rispetto alle carceri per gli adulti, dove invece troviamo una discreta presenza di personale educativo. Sono ragazzi che hanno maggior bisogno di supporto nel reinserimento. Purtroppo a volte gli istituti per minori sono un po’ abbandonati a loro stessi, ci sono mancanze di personale direttivo, lo stesso personale di polizia è semplicemente distaccato dagli istituti per adulti e anche questo impatta nella gestione dei minori e nel tipo di relazione che si dovrebbe istituire con i ragazzi.
Torniamo a Cospito, anche se al momento il Governo pare lo abbia escluso, pensa che con la sua battaglia si possa arrivare a discutere di una riforma del 41 bis?
Temo di no, temo che la discussione si stia polarizzando tra chi è per l’abolizione e chi lo vede come qualcosa di intoccabile. Ecco io non la vedo in nessuno dei due modi, il 41 bis non può essere cancellato perché è chiaro che il contesto nazionale italiano è un contesto in cui il 41bis deve esserci, ma questo non preclude che si possa lavorare a limitarne l’uso, dubito che le oltre 700 persone siano tutti capimafia. Bisognerebbe pensare a cambiarne anche le condizioni di esecuzione. Servirebbe una riforma ma la nostra società al momento è divisa tra un Governo che non vede i problemi che ci sono e fette di popolazione civile che replica con una proposta di abolizione che suona un po’ velleitaria.