A casa tutti bene, la serie tv di Gabriele Muccino
La morte improvvisa del proprietario di un lussuoso ristorante romano apre un domino di conseguenze nefaste, e svela il dietro le quinte di una famiglia solo apparentemente felice
A casa tutti bene – la Serie
Serie – Italia 2021, 1ª stagione, 8 episodi della durata di circa 50’. Regia di Gabriele Muccino, adattamento tv dal film omonimo del 2018. Con Francesco Acquaroli, Francesco Scianna, Alessio Moneta, Silvia D’Amico, Simone Liberati, Paola Sotgiu, Laura Morante, Emma Marrone, Valerio Aprea, Antonio Folletto, Federico Ielapi. Ora la serie completa su Sky.
Gabriele Muccino aveva sempre e solo lavorato col cinema. Ora neanche lui resiste alle ricche sirene dei network, ma importando sul piccolo (sempre meno) schermo un linguaggio dichiaratamente cinematografico.
Ed è così che bissa il se stesso delle sale riprendendo il soggetto del film del 2018 e ridisegnandolo, con molta libertà, un metraggio tanto più lungo, e interpreti tutti cambiati. Ne vengono fuori 8 episodi per Sky, la cui programmazione, iniziata a dicembre scorso, ci consente in questi giorni di guardare la stagione completa.
Per raccontarci, in sostanza, l’incapacità o impossibilità di essere felici in seno alla famiglia. E il dilemma se arrendersi a questo destino o provare a cambiarne il verso.
Non so se alla fine l’assunto (a cui non sono estranee certe esperienze personali del regista) risulterà convincente: “sul più bello” l’ultimo episodio finisce, lasciandoci sconcertati se non ci avessero detto che una seconda stagione è già in gestazione, in arrivo non prima della fine del 2022.
Il primo episodio, visto in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, non faceva ben sperare: troppa concitazione, qualche passaggio che suonava falso. Così come non convince l’ultimo della stagione, che già nella scrittura deraglia dalla credibilità finora mantenuta. In mezzo però, bisogna dirlo, un plot solido, ben raccontato, che ti spinge avanti di puntata in puntata.
Qui, dove Muccino oltre che regista è supervisore artistico (affinchè nulla del suo “touch” vada perduto), ritroviamo, dell’autore, esaltati tutti i pregi e i difetti; spesso intercambiabili fra loro: se infatti la narrazione è vivace e i tempi incalzano lo spettatore, è anche vero che il tono costantemente survoltato può dispiacere. Prendiamo ad esempio il vezzo – riportato dalla sua lunga parentesi americana e forse preso per insegnamento – di muovere a più non posso la macchina da presa; non solo tallonando i personaggi lungo stanze, corridoi e scale in lunghi piani-sequenza da ottovolante ma, se stanno fermi, girandogli vorticosamente intorno. Sforzo di concentrazione per gli attori, capogiro evitabile allo spettatore. Scelta però rivendicata dal regista, che in un’intervista alla rivista FilmTv anzi dichiarò “Mi annoierei rilassandomi su una grammatica di campi e controcampi. La mia è una scrittura impetuosa e i sentimenti irrefrenabili dei personaggi non verrebbero raccontati nel modo giusto: ho bisogno che la macchina da presa danzi insieme agli attori e alle nevrosi che interpretano, che rifletta le inquietudini dei personaggi… la loro instabilità”.
Oppure la costante di stare addosso ai personaggi, a scandagliarne istinti e sentimenti, per mettere in scena la commedia umana: funziona, questa storia corale contiene un microcosmo, completo di tutti i caratteri; è credibile, da spettatori tendiamo a schierarci. Però – rovescio della medaglia – per far questo agli attori è stata richiesta una recitazione concitata, facce “forti” accentuate da primi e primissimi piani. E giù critiche, ingiuste.
Perché infatti tra i pregi della serie c’è che è interpretata bene. Gli attori – in gran parte poco o niente conosciuti – danno bella prova di sé: più di tutti Francesco Acquaroli (Pietro Ristuccia, il paterfamilias), vecchio marpione romano che abbiamo avuto modo di apprezzare varie volte, più di tutte nella serie Suburra; Francesco Scianna (il figlio Carlo), finora melenso bellu guaglione (Baaria, Latin lover), ma qui giusto in un ruolo a rischio clichè; Alessio Moneta (il cugino Riccardo coatto e inetto); la navigata Paola Sotgiu (Maria), Valerio Aprea (un Sandro che intenerisce, nel tentativo di minimizzare un avanzante alzheimer); e last but not least Emma Marrone (Luana), disinvoltamente in trasferta dal mondo della canzone, alla sua seconda collaborazione con Muccino (Gli anni più belli). Curiosamente, a convincerci meno è la sola vera star del cast: Laura Morante (Alba, moglie di Pietro), a disagio più che mai, nervosa più che mai, naturale mai; non sappiamo se per esigenze di copione o per vocazione.
Comunque, signori, è Muccino: prendere o lasciare. Se vi piaceva vi piacerà di più, se no non cambierete idea, anzi vi unirete ai mugugni se non ai lazzi del partito sociale antimucciniano.