È dal 1990 che si parla di smantellare ex Centrali e porre in sicurezza le scorie del nucleare. Un carrozzone clientelare, la Sogin doveva occuparsene. Invece stiamo ancora alle marce di protesta per nuovi depositi, mentre la Sogin continua a esistere e a consumare risorse.
Sessanta sindaci, rappresentanti politici, associazioni ambientaliste hanno partecipato domenica scorsa 25 febbraio, alla manifestazione “Tuscia in movimento – marcia contro il deposito di scorie nucleari” che si è svolta a Corchiano. La popolazione della Tuscia non vuole che si costruisca il deposito nazionale delle scorie nucleari sul proprio territorio. Il problema è che nessuna comunità in Italia lo vuole (Non nel mio giardino!). La manifestazione era comunque senza precedenti, almeno 2 mila persone, con la partecipazione di cittadini qualunque, attivisti ambientali, rappresentanti politici non solo locali e associazioni ambientaliste.
Striscioni e slogan hanno fatto da cornice e da cassa di risonanza al corteo e alle voci dei partecipanti. Ma il potere non si scalfisce con gli slogan. A meno che non si traducano in una manifestazione nazionale, coi blocchi stradali che non piacciono al Ministro dei Trasporti, sempre che non li facciano i contadini coi trattori.
Sono anni, anzi decenni, che la popolazione chiede che non si abbia più nulla a che fare col nucleare. Anche se il senatore della Lega, Matteo Salvini, con uno spirito verrebbe da dire anti italiano, cerca di farci fare scelte che vanno solo nel senso del disastro ambientale. Dal ponte sullo stretto, alle centrali nucleari, alle perforazioni nell’Adriatico, che per il momento sono solo un grande dispendio di denaro ma che in prospettiva potrebbero causare anche di peggio.
Lo sfruttamento dell’energia nucleare in Italia c’è stata tra il 1963 e il 1990. Dopo, le centrali nucleari sono state tutte chiuse, o per raggiunti limiti d’età o alla luce del risultato del referendum del 1987. Dal 1999 però, finanziamo ogni mese nella bolletta elettrica, una società pubblica che si chiama Sogin, che ha il compito di smantellare le ex Centrali Nucleari, mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi e individuare un deposito nazionale dove stoccare tutti i rifiuti sparsi in vari depositi regionali e attualmente a rischio. I lavori dovevano terminare nel 2019 e il costo di tutta questa operazione era di 3,7 miliardi di euro.
I miliardi spesi sono stati fino al 2023 oltre 4,5. Le ex Centrali non sono state neanche toccate e la messa in sicurezza di depositi coi rifiuti più pericolosi, come a Saluggia e Trisaia di Rotondella non è neanche incominciata. Ogni tre anni viene nominato un nuovo Consiglio di Amministrazione della Sogin, dal Governo in carica in quel momento. Ne sono cambiati sette di CdA, con un commissariamento di mezzo, ma nessuno ha fatto niente.
Nessuno ha mai messo manager capaci a dirigere questa società. Evidentemente c’è una precisa volontà di non toccare le centrali e le scorie perché non si sa dove mettere le mani. Comunque è un vero scandalo e un pericolo gravissimo sulle nostre teste. L’azionista è il Ministero delle Finanze, il controllore è il Ministero dell’Ambiente, i soldi li mette l’Autorità per l’Energia sulla base dei piani di attività presentati da Sogin.
Afferma Lega Ambiente che in Italia ci sono 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni. Sono dei siti di stoccaggio di materiale radioattivo che deriva dalle Ex Centrali Nucleari dismesse, anche a seguito del referendum del 1987.
A Latina c’è l’ex Centrale Nucleare di Borgo Sabotino, a meno di un chilometro dalla costa tirrenica. La ex centrale di Garigliano in provincia di Caserta e quella di Caorso in provincia di Piacenza sono entrambe poste in aree ad alto rischio idrogeologico, in quanto a ridosso di due importanti fiumi, il Garigliano e il Po, a rischio esondazioni e piene. Lo stesso dicasi per i depositi di scorie nucleari di Saluggia, nel Vercellese, dove si trovano tre impianti diversi: Eurex, Liva Nova e Avogadro, a ridosso della Dora Baltea a soli tre chilometri dalla confluenza di questo fiume con il Po.
Questi depositi hanno spesso corso il rischio di essere invasi dalle acque esondate del fiume. Qui sonio stoccati i rifiuti con la carica radioattiva più elevata. Ugualmente il deposito di Trisaia di Rotondella a Matera, in Basilicata e quello di Statte in provincia di Taranto hanno creato problemi perché sono state accertate gravi illeceità di scarico a mare di acqua contaminata e nel secondo di rifiuti in una situazione preoccupante per il diffuso deterioramento della struttura. Questo il quadro che ne fa Lega Ambiente in un suo report dell’8 marzo 2021.
In base all’ultima decisione, presa nel dicembre 2023, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha pubblicato sul proprio sito l’elenco delle aree idonee per il deposito nazionale delle scorie nucleari, contenuto nella Carta Nazionale delle Aree Idonee (Cnai). La Carta è stata elaborata da Sogin e Isin e individua 51 locazioni possibili. I siti sono raggruppati in 5 zone ben precise, su 6 regioni. In Piemonte 5 siti nella provincia di Alessandria.
Nel Lazio ben 21 siti tutti nel viterbese. Precisamente a Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Arlena di Castro, Piansano, Tessennano. In Sardegna altri 8 siti fra Oristano e il sud dell’isola. Fra Puglia e Basilicata sono stati individuati 15 siti fra la provincia di Matera e i comuni di Altamura, Laterza e Gravina, e anche in provincia di Potenza a Genzano di Lucania. Infine in Sicilia nel trapanese con 2 aree a Calatafimi, Segesta e Trapani.
Se c’è da prendersi i soldi allora si pensa all’Autonomia regionale, se c’è da individuare le 51 discariche allora l’autonomia sparisce e l’Autorità centrale le colloca 5 al Nord e tutte le altre 46 al centro sud. Chissà perché?
Forse perché Sogin forte delle sue protezioni non ascolta nessuno. Nonostante gli incontri, i seminari, le obiezioni tecniche, e anche i ricorsi, fa come le pare. Il Governo ha chiesto ai comuni che lo vogliano di candidarsi per i depositi e suggerendo le aree militari dismesse per lo stoccaggio. Ma le aree non sono tutte idonee. Sulle 51 indicate da Sogin ne vanno escluse subito 10, quelle delle isole, vessate già da decenni di servitù militari dalle quali ancora non si sono del tutto emendate. Pensiamo a La Maddalena in Sardegna! Per la Sogin si trovano proprio nel Lazio i 5 luoghi più adatti: 3 a Montalto, 2 a Corchiano e due in provincia di Alessandria, in Piemonte.
Al centro delle proteste la preoccupazione per i potenziali rischi per la salute pubblica e l’ambiente. Inoltre, la presenza di tali materiali potrebbe compromettere irrimediabilmente l’immagine turistica della provincia e della regione, danneggiando un settore fondamentale per l’economia locale.
Anche Chiara Frontini, prima cittadina di Viterbo, si è unita al corteo di Corchiano. “Giovedì il consiglio comunale ha espresso all’unanimità il suo netto dissenso nei confronti del deposito di rifiuti radioattivi sul nostro territorio, approvando la mozione presentata da Viterbo 2020 – ha dichiarato la sindaca dalle sue pagine social- La condivisione unanime di questo atto d’indirizzo rappresenta un importante passo avanti nella difesa delle nostre prerogative ambientali e nel sostegno ai Comuni coinvolti. Ogni voce, ogni azione conta, e oggi più che mai dimostriamo la forza della nostra determinazione“
Angelo Di Giorgio, Ordinario di chirurgia generale e oncologia all’università La Sapienza, sottolinea il rischio della scelta di Sogin nella Tuscia, in una intervista di Rory Cappelli apparsa su La Repubblica del 22 febbraio scorso. “La provincia di Viterbo, quanto a incidenza di tumori è la prima del centro Italia e l’11sima a livello nazionale: si immagina se ai problemi che già ci sono ci aggiungiamo anche quelli derivanti da un deposito di scorie nucleari?”. È chiaro il professor Angelo Di Giorgio, tra i fondatori del comitato Montalto Futura per la salvaguardia del territorio, quando parla della decisione di Sogin dei 21 siti possibili per la costruzione di un impianto di stoccaggio di scorie nucleari a bassa, media e alta intensità.
Il primato della provincia di Viterbo nei tumori è confermato dal Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialemente idonee) con una pubblicazione del 5 gennaio 2021 ed è dovuta ad un inquinamento da radon, una sostanza radioattiva, che chiamano anche il gas killer, che si trova nell’ambiente: i livelli europei e italiani sono sotto i 50 Bq/m3, a Viterbo si arriva a picchi di 300 Bq/m3.
In provincia di Viterbo c’è anche un forte inquinamento dovuto all’arsenico. In Italia il tetto massimo sarebbe di 10 microgrammi litro, anche questo valore è superato in provincia di Viterbo. Ci sono località in cui periodicamente l’autorità di controllo sanitario locale chiede di non utilizzare l’acqua potabile. In questo territorio, inoltre, si trovano le centrali di Montalto e Civitavecchia: un’area di 40 chilometri. Quando erano in funzione hanno inquinato in maniera importante con sostanze radioattive e piombo, esponendo le popolazioni a fattori di rischio che in altri posti non ci sono.
Infine i fitosanitari, sostanze utilizzate in agricoltura considerate altamente cancerogene. Soprattutto in un luogo ad alta vocazione agricola come la provincia di Viterbo. Pensare che sarebbe anche la prima provincia per agricoltura biologica! Per capire che quando parliamo di biologico spesso non sappiamo di che parliamo. Qui ci sono agricoltori con un rapporto di 119 per 1.000 abitanti, il numero più alto d’Italia! Di questi il 30 per cento vive direttamente nei campi. “Dunque se a tutti questi rischi si aggiungesse anche quello della radioattività, la situazione di rischio oncologico diventerebbe insostenibile.” Ha concluso il professore Di Giorgio.
“Alla fine si farà solo un deposito. – Sostiene il professore Angelo Di Giorgio nella intervista citata.- Tra l’altro stoccare 95 mila metri cubi di rifiuti italiani in un solo sito possono creare un obiettivo militare o terroristico. Oppure pensiamo a un aereo che ha un incidente e ci finisca sopra: si creerebbe una dispersione di materiale radioattivo inimmaginabile. Oggi il materiale si trova in oltre venti sedi: perché non può essere lasciato dove si trova?”.
La risposta all’obiezione del professore c’è già da tempo. Perché non sono luoghi sicuri nemmeno quelli. Sorgono in prossimità di fiumi e con il rischio di una inondazione, frana o smottamento e i materiali possono finire in corsi d’acqua e arrivare fino all’Adriatico, con un danno di millenni per tutta l’area mediterranea.
Dei 95 mila metri cubi di rifiuti radioattivi italiani: “17 mila sono ad alta attività, gli altri a media e bassa. -Continua il professore – “Per far capire di cosa stiamo parlando, basta pensare che quelli a bassa attività decadono in un tempo che va dai 35 al 300 anni. Quelli ad alta intensità dai 30 mila a 700 mila anni: gli scienziati di tutto il mondo spiegano che per smaltire i rifiuti ad alta attività è necessario creare buchi geologici di almeno mille metri in cui creare canali dove stoccare il materiale.
Nel mondo a oggi non ne esiste neanche uno: ne verrà inaugurato uno in Finlandia tra tre anni. Ma la Finlandia ha una situazione ben diversa da quella italiana, anche a rischio sismico in tutto il suo territorio: solo il nord Europa è compatibile con una struttura del genere. Sogin sostiene anche che il deposito di profondità costerebbe troppo: per ora, dunque, si stocca in uno dei siti individuati e poi, non appena in Europa sarà costruito un buco geologico, si trasferirà tutto lì. Tanto, spiega Sogin, tra 100 anni la soluzione si sarà trovata e sposteremo tutto. Il materiale radioattivo ad alta attività sarà custodito nei Cask, contenitori di acciaio, rame e resina che si usano anche per il trasporto: ma siamo così sicuri che tra 100 anni siano ancora protettivi?”.
Terremoti, inondazioni, frane, incidenti possono causare un disastro di portata inimmaginabile. Come sempre si vive alla giornata. Si rimanda, si rinvia, nella speranza che qualcuno trovi una soluzione. Intanto si pensa a come non investire nelle cose che contano e a farlo in quelle che non servono a niente. Ma lo sappiamo, la politica mira al voto elettorale, la gente crede alle promesse, non ama addentrarsi in problemi complessi, delega e spera.
E così andiamo avanti senza risolvere niente, mentre alluvionati e terremotati aspettano ancora le sovvenzioni promesse, come in Romagna. Il Governo non vuole essere criticato e neanche disturbato nelle sue manovre, per questo nicchia e lo farà almeno fino al 9 giugno quando tre regioni andranno al voto: Piemonte, Basilicata e Sardegna. Quale candidato parlerà di depositi nucleari? Ci sono anche le Europee ed è immaginabile che, appunto, anche il governo non tirerà fuori il problema. Ma sta ai cittadini porre la questione ed esigere risposte.
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