Categorie: Cultura

A Londra è sempre l’ora del tè

«You know, I’m fussy about food», apostrofava Gertrude Stein, e ribadisco io stessa: «Lo sapete, in fatto di cibo sono esigente». Di conseguenza godere di un pasto che rientri nei miei gusti e nei miei “canoni alimentari” – e che non contenga né aglio, né cipolla né salse – a Londra è praticamente impossibile, ma visto che, come scrisse Virginia Woolf: «uno non può pensar bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene», conviene che io mi rifugi in un luogo dove un dolce e un buon tè non manchino.

Seduta al tavolo di un anonimo locale che profuma di cupcakes, ma catapultata in un'altra epoca dalle parole di Virginia, mi ritrovo mentalmente in un Tea Garden, magari con in mano un suo libro, e medito sul fatto che quel tè non è stato preparato dal Byron citato in The Waves, visto che, non appena copro la teiera, il liquido trabocca: «Eppure Byron non ha mai fatto il tè come lo fai tu, che riempi la teiera a tal punto che quando si mette il coperchio il tè esce. C'è una piscina marrone sul tavolo – sta scorrendo tra i tuoi libri e i tuoi fogli».

«Anche il momento del tè richiede apprensione», scriveva nei suoi diari Virginia, lei che non solo menziona il tè nei suoi libri, ma che sicuramente ne avrà bevuto molto con il Grantchester Group, che si riuniva nell'Orchard Tea Garden nel quale, tra i rami fioriti o ricolmi di frutti, veniva celebrato il rito pomeridiano, ma ancor più famoso era il tè con il gruppo di Bloomsbury, che si riuniva nel quartiere londinese di Bloomsbury.

Tutt'oggi esistono le ceramiche di Bloomsbury, con meravigliosi set da tè che riecheggiano i racconti della scrittrice (cosa non si fa per vendere!): ma ricordate che le ceramiche sono assai delicate e inclini a creparsi, per questo nacque l'antica usanza di mettere prima del latte nella tazza e versare poi il tè bollente – e non fate mai il contrario, oppure, oltre a rovinare il prezioso contenitore, otterrete un olezzo di caglio.

Ovviamente al Bloomsbury Group il tè non era solo un rituale pomeridiano: sappiamo con certezza che Virginia e la sua cerchia erano soliti prendere il tè alle nove di sera (1) e ricordiamo infatti le celebri “serate del giovedì”, in cui i partecipanti si riunivano per parlare di letteratura, arte, politica. I discorsi intrecciati al tea-table non erano certamente quelli che noi definiremmo “da bar” e la stessa Virginia, parlando della necessità di conquistare il diritto per le donne di esprimersi in merito alle questioni politiche, precisa: «[…] potrebbe darsi che, se noi rinunciamo al pensiero privato, al pensiero del tavolo da tè, perché esso ci sembra inutile, stiamo privando quel giovane inglese di un'arma che potrebbe essergli utile» (da Pensieri di Pace durante un'incursione aerea, agosto 1940, per una raccolta statunitense di saggi su argomenti di attualità riguardanti le donne). In altre parole, se le donne non hanno armi concrete, possono combattere con le armi delle idee “costruite” in casa davanti a un tè, e saranno pari ai giovani soldati inglesi (siamo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, poco dopo un attacco aereo tedesco a Londra), e forse anche di più, perché la battaglia del pensiero è ben più radicale di qualsiasi bomba.

Negli scritti di Virginia sono ricordati molti incontri dinanzi a una tazza di tè, per esempio nel luglio 1903 la scrittrice mandava una lettera alla cugina Emma, raccontandole di un tè accompagnato da un «plate of biscuits» con la scrittrice Dorothey Strachey, la quale, sulle orme della sua ispiratrice, pubblicò nel 1949 (per la Hogarth Press, casa editrice fondata dai coniugi Woolf) Olivia, racconto, ritenuto scandaloso in quei periodi, su una storia d'amore tra due donne. Ai tempi Virginia aveva ventuno anni, mentre l'amica era ancora diciottenne, ma si era sposata in quello stesso anno con un pittore francese, Simon Bussy, che già prendeva parte al circolo di Bloomsbury.

Nel dicembre 1908, insieme alla sorella Vanessa, beveva il tè con Lady Ottoline Morrell, donna carismatica e brillante nonché amante dei circoli intellettuali, che entrò a far parte del Bloomsbury Group. Le tendenze bisessuali dell'aristocratica la portarono a essere particolarmente affascinata da Virginia, tanto che, nelle sue memorie, la descrisse come una strana, amabile, fuggevole creatura sovrannaturale.

Per il personaggio di Mrs Dalloway l'autrice, come dichiara in Moments of Being, fu ispirata da una stretta amica di Stella Duckworth, sorellastra di Virginia, una certa Miss Kitty Maxse, la quale fu spesso invitata per un tè “ispiratore” nella dimora londinese in 22 Hyde Park Gate.

Sempre con una tazza in mano, ci racconta Leonard nel suo Downhill all the way: an autobiography of the years 1919–1939, nel 1935 la signora Woolf incontrò Charlotte Wolff, psicologa e sessuologa tedesca, per discutere in merito alla sua malattia nervosa, ma non volle mai entrare in terapia.

I tè insieme a personaggi celebri sono innumerevoli, come anche quelli con i membri della famiglia, spesso documentati nei suoi diari e nelle sue memorie. Angelica Garnett, figlia della sorella di Virginia, scomparsa l'anno scorso, ricordava con una toccante commozione i tè a casa della zia: «versava il tè, non con la stessa mano ferma e attenta come mia madre Vanessa, ma facendo ondeggiare avanti e indietro la teiera mentre parlava, per sottolineare quello che stava dicendo. Ancor prima di finire la sua tazza si accendeva una sigaretta in un lungo bocchino e subito la sua conversazione si accalorava, facendola scomparire dietro gli sbuffi del fumo. […] E raccontava tutto quel che le veniva in mente, incoraggiata dai nostri commenti e dalle nostre risate. Fino a spiccare il volo verso vette fantastiche» (2).

Anche nei suoi quadri e nelle sue illustrazioni rappresentò questi momenti, con nature morte composte da tazze da tè e sandwich al cetriolo, come in Still Life with Poppies (Natura morta con papaveri), o in The Supper Table (il tavolo dello spuntino serale).

Mentre disegno nella mia mente le opere di Angelica, mi chiedo per quale ragione non possediamo ritratti di Virginia con una tazza da tè in mano: dopotutto un libro e una penna sono sicuramente due suoi tratti caratterizzanti che compaiono copiosamente in fotografie e dipinti, ma sinceramente la immagino meglio mentre batte nevroticamente un cucchiaino sul tavolino da tè, agitata per una frase che non le gusta, o anche mentre giocherella con lo stesso lungo cucchiaino in bocca, piuttosto che una sigaretta. Purtroppo devo affidarmi solo alla fantasia.

E così riflettendo, finisco il mio tè e mi getto coraggiosamente nel gelido vento londinese, scaldata dalla mia immaginazione e da un tè bevuto virtualmente con Virginia Woolf.

*di Rosella Paganessi, pubblicato da Le Città delle Donne

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