A Roma non devi cercare la bellezza, è lei che trova te
Parliamo del più antico Ospedale d’Europa, Santo Spirito in Sassia, che dava ospitalità ai pellegrini diretti alla tomba di San Pietro
A Roma non devi cercare la bellezza, perché a Roma la bellezza è ovunque: la strada che percorri tutti i giorni per andare a lavorare, per esempio, il palazzo dove abita il tuo migliore amico, perfino una fogna può essere un’opera d’arte che ti toglie il fiato. Ricordo che circa quarant’anni fa, un’amica di mia madre che abitava poco lontano da noi invitò la mia famiglia a casa sua per vivere un’esperienza unica.
Andammo di sera, col favore del buio, armati di torce. Ci fece entrare e ci guidò, se il tempo non distorce il ricordo, in cucina. Sollevò una sorta di botola e scendemmo in fila indiana lungo una stretta scala piuttosto ripida, nelle viscere della città. La debole luce delle torce non ci faceva distinguere granché, così procedevamo senza capire bene cosa ci aspettasse alla fine della scala. Una volta a terra, lei azionò un interruttore e luce fu. Sperimentai così che, in casi del tutto eccezionali, si può rimanere in vita anche se il cuore smette di battere per l’emozione.
Ci trovavamo, infatti, all’interno di una Basilica paleocristiana con catacombe inesplorate annesse: S. Ermete, a circa venti metri sotto il piano stradale della Roma moderna e sopra i ruderi di una villa di epoca romana. E tra le nostre bocche aperte, gli occhi sgranati e via Bertoloni, c’erano i resti di un monastero benedettino.
Ricordo che ci aggiravamo in silenzio, del tutto inebetiti e storditi dalle meraviglie che si rivelavano a mano a mano che camminavamo, puntando i fasci di luce delle torce ora qua, ora là , ora su, ora giù, mentre ci aggiravamo in quell’ambiente enorme, nascosto nel sottosuolo della città.
Ancora oggi, quando ripenso a quei momenti unici, riesco a provare l’estasi di quella notte che è rimasta e rimarrà per sempre scolpita dentro di me. Tutto ciò per dire semplicemente che non c’è certo da meravigliarsi, se anche un ospedale può contenere tesori di inverosimile bellezza e del tutto inaspettati per la tipologia del luogo.
Sto parlando del più antico Ospedale d’Europa, Santo Spirito in Sassia, le cui origini risalgono all’anno 727 d.C., epoca in cui il re dei Sassoni, Ina, creò una “Schola Saxonum” per dare ospitalità ai pellegrini diretti alla tomba di San Pietro e da allora, l’Ospedale dette sostegno a poveri, malati e neonati abbandonati. Fu restaurato e ampliato nel corso dei secoli ed è composto dalle Corsie Sistine (luogo simbolico dell’arte medica ed esempio di architettura civile capitolina), dai Chiostri dei Frati, delle Monache e delle Zitelle e dal Palazzo del Commendatore, ampliamento cinquecentesco dell’architetto Giovanni Lippi.
Oggetto di un attento restauro terminato nel luglio 2022, le Corsie Sistine furono realizzate su incarico di papa Sisto IV della Rovere nella seconda metà del XV secolo. La struttura, costituita dalla Corsia Lancisi e dalla Corsia Baglivi, è lunga 120 metri e larga 13. Le Corsie furono utilizzate dapprima come luogo di degenza e, dal ‘600, come lazzaretto. Un ciclo di splendidi affreschi di scuola umbro-laziale, che si sviluppa su una superficie di oltre 1200 mq e la cui estensione è seconda solo a quella della Cappella Sistina, si estende lungo il perimetro superiore.
Le Corsie sono collegate da un tiburio ottagonale sotto il quale è possibile ammirare l’unica opera romana di Andrea Palladio, un raffinato ciborio sormontato da due putti attribuiti ad Andrea Bregno, autore anche dei due maestosi portali d’ingresso. Nei secoli successivi, il Complesso ospedaliero si sviluppò ulteriormente, con l’edificazione della Sala ospedaliera Alessandrina, oggi adibita a sede del Museo di Storia dell’Arte Sanitaria.
L’ingresso è a Borgo Santo Spirito 2. Superato un meraviglioso portale del Bernini, si fa un salto all’indietro nel tempo di quasi sette secoli e si entra nella magia del 1400. E qui taccio. Parlerà molto meglio di me Roma che vi avvolgerà e vi stordirà, come fa sempre quando svela la sua bellezza con il suo solito sorriso, un po’ sornione e scanzonato.