Il nome ufficiale sarebbe quello di “Papale Arcibasilica Maggiore Cattedrale Arcipretale del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano”.
Ma questa definizione è quasi totalmente sconosciuta ai romani. Per tutti è più semplicemente San Giovanni in Laterano, la “madre di tutte le chiese”, capo di tutte le chiese di Roma e del mondo, nonché sede ecclesiastica ufficiale del Papa.
Non starò qui ad illustrarne la storia millenaria e i tesori che ospita, cose che si trovano ovunque con grande facilità.
Il mio scopo è un altro: scovare qualcosa che sia meno conosciuto, cosa, del resto, che cerco di fare sempre andando in giro per la città e curiosando nei suoi meandri più intimi e nascosti.
Dunque, eccomi entrare in uno luogo fra i più visitarti di Roma, un luogo nel quale ci si sente travolti da una maestosità che lascia senza fiato.
Maestosità che già è annunciata dal mastodontico portale i cui battenti alti ciascuno quasi 9 metri e larghi quasi 5 (dopo le modifiche apportate da Borromini) provengono dalla Curia Iulia e testimoniano la consueta integrazione tra paganesimo e cristianesimo che tante volte a Roma trova la sua massima e naturale espressione.
Mi perdo nella vastità della navata centrale, gli occhi che vagano in ogni direzione e che puntano ora l’incredibile soffitto ligneo, ora il sontuoso pavimento cosmatesco le cui geometrie ubriacano e disorientano annichilendo il visitatore e lasciandolo nudo di fronte alla sensazione di piccolezza che diventa quasi inadeguatezza di fronte alle meraviglie che si rivelano man mano che si procede verso l’altare.
Le folle che ne percorrono le navate, dove le gigantesche statue degli apostoli osservano in silenzio il viavai dei fedeli e dei turisti, non si accorgono della porta sul fondo della navata sinistra che dà accesso al meraviglioso chiostro.
E solo alcuni dei pochi che si avvicinano incuriositi al desk dove viene richiesto il modestissimo pagamento di 4 euro, compiono l’ultimo passo verso un tesoro ignorato che lascia a bocca aperta chi vi si trova al cospetto.
Gli altri guardano distrattamente oltre la porta a vetri cercando di carpire qualcosa del segreto che si nasconde al di là di pochi gradini e di una maniglia spingendo la quale si entra in un nuovo mondo del tutto diverso da quello caotico e movimentato dell’interno della Basilica.
E io sono qui proprio per lui, per questo mondo di profondi silenzi che si incuneano tra le arcate del portico rette da doppie colonnine ora lisce, ora tortili e di luce e colori che appaiono e scompaiono a seconda del rincorrersi delle nuvole e di cinguettii di uccelli che sfidano l’immobilità dell’aria e la quiete di un luogo che vince ogni giorno la sfida con il tempo.
Sono solo.
Cammino lentamente.
Posso ammirare in totale solitudine e pace questo capolavoro del ‘200 di Pietro Vassalletto, della celebre famiglia di marmorari romani che insieme ai Cosmati fece opere mirabili a Roma e non solo, un quadrato con i lati di 36 metri in cui sono conservate molte sculture e ornamenti di gran pregio, tra cui opere di Arnolfo di Cambio, elementi architettonici dell’antica basilica, iscrizioni, lastre tombali, pietre, materiali di scavo romano e paleocristiano.
Ogni tanto il mio sguardo si sposta dal muro perimetrale al giardino con il pozzo al centro e i cipressi sempreverdi, simboli della vita perenne, gli ulivi e le aiuole con le rose rosse che il sole accarezza nel passaggio tra una nuvola e l’altra.
In questa profonda pace trovo la mia pace.
Libero da ogni legame con la vita terrena, ascolto l’antico respiro di questo luogo e regolo il mio respiro con il suo.
Io e il rumore dei miei passi, il mio stupore e la semplice bellezza di un mondo che ti accoglie con braccia protettive e ti invita ad affidargli i pensieri più intimi e i tormenti che la vita inevitabilmente porta con sé perché tu possa godere di un istante salvifico di pace interiore.
Così percorro più volte, senza accorgermene, il giro completo dei quattro lati del chiostro e quando il tempo sospeso torna ad essere semplicemente tempo, faccio fatica a trovare l’uscita e tuffarmi di nuovo nella rumorosa quotidianità fatta di bocche, occhi, mani, suoni di una umanità in perenne corsa e lotta con sé stessa e con gli altri.
Un ultimo sguardo di insieme.
Un ringraziamento silenzioso.
Poi di nuovo la mano sulla maniglia di quella porta che separa due mondi così diversi tra loro e rientro nella Basilica.
Sono stordito, invaso da un disagio che non so gestire.
La signora in piedi dietro il desk fa un cenno di assenso con la testa, mi sorride e mi sussurra un “grazie” nel quale io vedo e percepisco altro.
Sento che non si tratta un ringraziamento casuale, né dovuto.
Sembra più un invito a non avere paura di essere fragile di fronte alla complessità della vita e alle domande senza risposta che ti costringe a porti.
Quella voce, quel sorriso, sono l’ultimo regalo del chiostro.
Forse il più bello e inaspettato, il lato umile e umano di un luogo divino che già attende, silenzioso e rispettoso, il mio ritorno.
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