La democrazia è davvero a rischio, in Italia? Prima ancora di rispondere sì o no, bisogna stamparsi in testa una premessa fondamentale: la democrazia, intesa come la prevalenza della volontà dei cittadini nei confronti delle oligarchie, è a rischio per definizione.
Il motivo è elementare. Le oligarchie (“il potere dei pochi”) badano solo ai loro privilegi e sono pronte a tutto pur di conservarli/ampliarli a danno degli interessi generali. E quindi non hanno nessuna intenzione di permettere a chicchessia di interferire con quei disegni e quegli obiettivi. Il resto, se non si fosse capito, è pura messinscena.
Una messinscena che è imperniata su una scommessa: consentire il voto popolare perché si ritiene di essere in grado, innanzitutto attraverso i mass-media, di orientarlo comunque a proprio vantaggio. Invece di mostrare palesemente che certe direttive vengono imposte calandole dall’alto, come accadeva in epoca monarchica o sotto i regimi dittatoriali, si è preferito fingere che le decisioni scaturissero dalle urne.
Detto in estrema sintesi: gli elettori sono “liberi” di scegliere ma all’interno di un “menu” che è stato accuratamente prefissato. Rimanendo nella metafora gastronomica (ma occhio al conto, e a chi lo paga) i partiti sono i cuochi che hanno il compito di preparare i vari piatti, mentre i grandi potentati economici, sia interni sia soprattutto internazionali, sono i padroni del “ristorante”.
Tutto questo è sempre accaduto, in un modo o nell’altro, ma ha avuto una poderosa accelerazione con l’avvento della Seconda Repubblica e il passaggio a un sistema bipolare. Che d’altronde è stato un ripiego rispetto alle intenzioni originarie. Un ripiego dovuto al fatto che qui da noi non si è riusciti a introdurre un modello addirittura bipartitico, come negli USA. Dove infatti le divergenze tra Repubblicani e Democratici sono più che altro sui “diritti civili” e non si sognano nemmeno lontanamente di bloccare lo strapotere del mondo finanziario e speculativo.
Le ultime elezioni hanno scombinato questi piani. I successi di Lega e M5S hanno interrotto la consueta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, portando al governo due soggetti che non si attengono al solito copione. Ma che pur essendo dei neofiti, a questo livello di potere, sanno benissimo che la lotta tra maggioranza e opposizione è tutt’altro che uno scontro cavalleresco. L’obiettivo non è affatto ragionare “insieme”, ma imporre qualcosa che è stato già deciso.
Si è instaurato un circolo vizioso. E non è certo una novità di questa legislatura. Il circolo vizioso è che la maggioranza si identifica totalmente con l’esecutivo, appiattendosi a priori sulle scelte di Palazzo Chigi. I rispettivi ruoli ne escono ribaltati. Snaturati. Stravolti.
In linea di principio il parlamento non dovrebbe limitarsi ad approvare ciò che fa il governo ma avrebbe il compito di discuterlo approfonditamente e di pervenire, almeno in qualche caso, a delle nuove sintesi tra le tesi contrapposte. Nella prassi concreta si riduce a controfirmare ciò che arriva dal Consiglio dei ministri.
Oggi chi sta all’opposizione grida allo scandalo e cerca di far passare Lega e M5S come una banda di pericolosi sovversivi. Un’accozzaglia di feroci antidemocratici che negano al Parlamento quel diritto di dibattito che è la sua stessa ragion d’essere.
Ma i primi a essersi comportati in questo modo sono stati proprio loro. Le fazioni a guida PD e PDL. E non in epoche remote, ma nel passato prossimo. Fino a quello più recente.
L’utilizzo del voto di fiducia si è trasformato da tempo in un trucco per imbrigliare il parlamento e costringerlo a dire di sì in blocco, facendo leva sul timore/terrore di deputati e senatori di tornarsene a casa per effetto di uno scioglimento anticipato delle Camere. La trovata del “supercanguro”, ovvero di quel maxi emendamento che permette di spazzare via in un istante tutti le altre proposte di modifica, è roba del PD. Non del governo Conte.
Quando a fare il bello e il cattivo tempo erano loro, si sentivano i padroni dell’universo. Oggi si infuriano e si ergono a difesa delle prerogative parlamentari. Come se gliene fregasse realmente qualcosa, della sovranità popolare.
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