Addio a Beppe Bigazzi, un antipatico che aveva spesso ragione
Agli occhi di chi impattava dal vivo -o peggio in tv- con lui, Beppe appariva un personaggio ostico, scostante, presuntuoso, arrogante
Non è difficile ricordare chi è stato Beppe Bigazzi, difficile è farlo capire a coloro che avevano di lui un’impressione dall’esterno. Agli occhi di chi impattava dal vivo -o peggio in tv- con lui, Beppe appariva un personaggio ostico, scostante, presuntuoso, arrogante. Un antipatico, in poche parole, ma che sapeva quello di cui parlava. Non si metteva in una discussione se non conosceva la materia e non era più che certo di sostenere, con dovizia di argomenti, la sua tesi. Questo lo faceva apparire un integerrimo conservatore e tradizionalista, fermo nelle proprie convinzioni e verità. Usava termini come “desinare, controra, giubba, mi garba, bischero”. Ricorreva al dialetto per sottolineare le intenzioni più sentite, con frasi colorite, più incisive. Ma non era solo questo.
Beppe l’ho conosciuto negli anni ’90 ad Unomattina, dove ero autore e con lui ho realizzato programmi e documentari per la Rai e altri network: Linea Verde, Linea Verde Orizzonti, La Prova del Cuoco, Le Toscane ed altri ancora. Ho vissuto momenti di vita intensi e indimenticabili, conoscendo territori, persone, culture gastronomiche, ricordi, durante le registrazioni, nelle conferenze, ai premi, alle sagre, nei convegni, all’asta del tartufo bianco toscano. Piano piano siamo diventati molto amici e credo di aver compreso la sua vera natura di uomo di campagna, dai valori saldi e forti ma proiettato nel mondo di oggi, nella modernità dell’industria e della società.
Beppe è stato un grande manager dell’ENI e dell’AGIP, ha viaggiato e conosciuto il mondo intero. Ha fatto parte di quella compagnia di persone fortunate che, tra gli anni 55 e 75, hanno vissuto alla grande, senza problemi economici intendo, la loro epoca, immersi nella ricerca del massimo delle soddisfazioni e divertimenti, godendo di tutti i piaceri intellettuali e gastronomici possibili. Abituato a decidere e a comandare era refrattario a sottomettersi alle regole della comunicazione, spesso codina e ipocrita, della televisione.
Di tutta la sua scienza, come spesso accade nella società del gossip, in molti ricordano solo la citazione che fece, quando, nel dopoguerra, nelle campagne toscane, in molti si videro costretti a mangiare carne di gatto. I soliti sepolcri imbiancati insorsero contro chi, frainteso, induceva a cibarsi di felini. La dirigenza, sottomessa alla politica, si vide costretta a allontanare Beppe dal programma. Beppe però era una persona moderata, diceva la verità ma non certamente si cibava di gatti, che anzi amava moltissimo. Inoltre era profondamente religioso. Veniva dalla cultura contadina ed aveva radicati in sé il senso del sacrificio, il valore delle cose concrete dell’esistenza, l’amore per la natura e gli animali, che avevano i cacciatori e i contadini di una volta. Nessun sfruttamento, nessuna prevaricazione. Si comportava con la selvaggina come un vecchio capo pellerossa. Lo spirito del creato e il suo erano un tutt’uno e così quando ha deciso che era venuto il momento, se ne è andato, in silenzio, circondato solo dai suoi cari, nel suo letto, con i ricordi di una vita.
Beppe era un grande conoscitore di gastronomia. Non amava cucinare, lo lasciava fare a chi possedeva pazienza e tecnica. Però lui sapeva tutto di ogni pietanza. Le ragioni per cui era nata, per cui si faceva in tante differenti versioni e quale fosse la migliore per il palato.
Era toscano, anzi aretino… di quella parte della provincia di Arezzo che porta ancora il segno della supremazia che i fiorentini guelfi avevano conquistato a Campaldino (11 giugno 1289), imprimendovi il loro accento inconfondibile, ponendo poi la loro egemonia su tutta la Toscana. Di quelle terre (terrenuove) Beppe conosceva ogni angolo: le balze dove giocava da bambino, i boschi e i prati del Pratomagno, dove cercava i funghi prataioli ad aprile. Le quercete e i faggeti, le coste dei ruscelli dove si trovano i tartufi bianchi pregiati. Conosceva gli allevamenti di cinta senese e di vacca chianina e del famoso pollo del Valdarno, una delle poche valli al maschile. Era amico di Dario Cecchini, il macellaio di Panzano e di Stefano Bencistà Falorni, che invece ha la bottega a Greve, come Salvatore Toscano dell’Osteria “Mangiando mangiando”. Alla “Penna” frequentava lo chef Ennio Quirini. In Maremma Emanuele Vallini della “Carabaccia”. In provincia di Pisa il casaro Stefano Busti. A Palaia (Volterra) il tartufaio Cristiano Savini. A Firenze lo chef Fabio Picchi del “Cibreo.” Aveva a lungo frequentato il Casentino, con lo “stilista” delle carni Simone Fracassi e grazie alla collaborazione di Zelinda Ceccarelli, funzionaria dell’amministrazione provinciale. Si conoscevano da tempo con Federico Fazzuoli e Augusto Tocci, altri aretini famosi in tv.
Il suo più grande discepolo, amico, fratello resta però Paolino Tizzanini, dell’Acquolina di Terranuova Bracciolini. “Oste custode” della memoria contadina di cui Beppe era innamorato testimone. Lì, nella tenuta di Paterna, si coltiva ancora il fagiolo zolfino, che lui stesso contribuì a lanciare in tv negli spazi dedicati alle cucine tradizionali. A lui però debbono molto artigiani e piccoli allevatori e contadini di tutta l’Italia. Grazie a lui trovarono spazio in Rai personaggi che chiamava “benemeriti” della nostra cultura, i creatori dei “monumenti gastronomici” di cui l’Italia va fiera. La Torre di Pisa e il Campanile di Giotto sono monumenti nati dalla stessa cultura che ha creato il Pecorino Romano, il Parmigiano Reggiano delle vacche rosse, il Castelmagno, il fagiolo zolfino, lo zafferano di San Gimignano, l’Amarone, l’Ornellaia e il Brunello di Montalcino, il Sassicaia, l’Oreno del Moretti e il Chianti gallo nero di Mazzei, da gustare con la bistecca Fiorentina di Chianina, il Cacciucco di Livorno o di Viareggio, il Peposo del Brunelleschi, il Lardo di Colonnata, il pane casereccio da 5 kg del Coccollini, la Ribollita, lo Stufato sangiovannese, la Pappa col Pomodoro.
Una caratteristica di Beppe, in piena forma, era “prendere per il culo” il saccente di turno. Amava fare citazioni improbabili, inventate al momento, di personaggi medievali e rinascimentali della storia dell’arte fiorentina. Contando sulla crassa ignoranza dei più, si permetteva di lanciare anatemi e detti che nessuno osava contestare. L’assenza di precisazioni, da parte dell’interlocutore, confermava la pochezza come tale e lì, come un vero “maramaldo”, Beppe affondava le sue battute, taglienti come un coltello, affilato di perfida sapienza, per sbaragliare l’avversario.
Grazie a Beppe Bigazzi, nei suoi primi anni (2000-2007) la Prova del Cuoco fu un programma che insegnò agli spettatori le basi della cucina tradizionale. Molte giovani madri appresero che si poteva preparare un pasto sano, in poco tempo, invece di ricorrere ai cibi precotti intrisi di additivi. Grazie a quelle discussioni con Anna Moroni si cominciò a capire che far da mangiare non è perdere tempo ma un piacere, da fare con un tempo giusto, da donare a sé stessi, alla propria salute, che -alla fine- serve anche a ridurre le spese sanitarie del paese e non solo a ridurre la spesa quotidiana, per alimentarsi. Beppe era attento ugualmente alla grande ristorazione stellata. In due anni portammo per la prima volta in trasmissione 35 grandi chef stellati italiani, che così poterono arrivare in tv, dove stazionavano Gianfranco Vissani e, a volte, Gualtiero Marchesi. Grazie alle sue “lezioni” sui prodotti dop e sui monumenti gastronomici, molti hanno cominciato ad assaggiare e a pretendere il meglio e sono nati gli spazi dei prodotti di qualità nei supermercati e negli autogrill. Si deve anche a gente come Beppe Bigazzi se è cresciuta la vicenda di Slow Food e l’etichettatura per legge sull’origine dei prodotti.
Se ogni giorno vedo nei mercati e nei grandi magazzini sempre più clienti che leggono le etichette e scelgono con cognizione di causa come investire il proprio denaro, dando una mano all’agricoltura del benessere e sempre meno a quella della fregatura, molto merito è di uomini come Beppe. La sua frase preferita era: “La conoscenza fa la differenza”.
Quando ogni tanto qualche vecchio spettatore mi chiederà: “Ma che fine ha fatto Beppe Bigazzi?” Adesso risponderò: “è tornato tra le sue balze e le sue campagne, a bere, mangiare e godere…”.
Carlo Raspollini in ricordo di Beppe Bigazzi (Terranuova Bracciolini, 20 Gennaio 1933 – Roma, 7 Ottobre 2019)