Con il cuore pieno di colori ad olio e le mani sporche di tempera, oggi ci ha lasciati Mario Benedetti, “il meccanico di Berlinguer”. Così amava essere definito. Da quella A 112 con il cambio che non andava e che Mario riparò sotto la pensilina dell’officina di Corso di Francia a Roma, nacque un rapporto di amicizia vero fra “il grande segretario del partito comunista” – così lo definiva Mario – e l’operaio in tuta, Mario Benedetti.
Mario il meccanico, che con le mani sporche di grasso e le sue sigarette piegate dalla cenere, lo trovavi a fine giornata seduto nel suo piccolo ufficio disordinato a leggere Marx o le poesie di Trilussa, la raccolta degli interventi di Togliatti in parlamento o il Vangelo.
Mario il meccanico che sapeva mettere a punto i motori a orecchio e non si fidava mai troppo delle diagnosi elettroniche di ultima generazione. Mario che regolava la carburazione con un giravite mentre con l’altra mano sfogliava le pagine di Tolstoj. Chino dentro al cofano ha visto passare davanti a lui la storia di questo paese. Dall’incontro con Mattei alla grande amicizia con Carlo Levi e Renato Guttuso, dalla distribuzione. la domenica mattina dell’Unita, ai suoi pittoreschi interventi nei convegni dentro le sezioni del PCI, prima a Ponte Milvio, poi a Labaro.
Un meccanico che tra un filtro dell’olio e una frizione prendeva la tavolozza e il pannello e dipingeva l’animo umano. Tanti i suoi quadri. E poi quella battaglia impossibile da vincere contro un avversario troppo potente. Lui il piccolo David e loro, McDonald’s, “figli dell’imperialismo americano”, il gigante Golia. Volevano la sua officina. Volevano diventare sempre più grandi, sempre più monopolisti del nuovo presente. Volevano sostituire l’odore di benzina e smerigliatura di quelle mura e quel piazzale con quello dell’olio fritto e del ketchup e alla fine ci sono riusciti.
Dopo anni di carte bollate e ricorsi, il grande ha fagocitato il piccolo. Come succede in natura d’altronde. Le guerre sono sempre stupide e inutili affermava Mario, ma alcune battaglie vanno combattute fino alla fine. Quelle dell’ingiustizia sociale, quelle delle disuguaglianze, dei diritti e quelle contro l’alienazione umana. Mario la sua personale battaglia contro il gigante della multinazionale l’ha purtroppo persa sul campo e come i grandi generali del passato non ha concesso a sé stesso la sconfitta. Troppo grande il dolore di dover abbandonare il luogo in cui per circa settant’anni ha onestamente lavorato e condiviso la sua vita, così con la puntualità di un ingranaggio meccanico non ha concesso alternative.
Ora quell’angolo di asfalto affianco a una delle prime stazioni dell’Agip, si riempirà di macchinette e scooter, di bicchieri di carta con dentro qualche goccia di Cola e una cannuccia di plastica. E il rumore dei motori che si provavano sul ponte, sarà sostituito dagli schiamazzi dei nuovi avventori del food veloce. Ma saranno ancora tanti coloro che passando di lì, cercheranno la sua capigliatura bianca dietro un cofano o uno sportello. Perché Mario era condivisione, era coerenza, e aveva sempre una parola per tutti. Ci lascia uno degli ultimi “veri” comunisti, e con lui muore un pezzo di storia “vissuta” di questa città.
Il funerale si terrà lunedì 6 giugno alle 10,30, presso la chiesa di S. Crispino da Viterbo in via Offanengo, 6 a Roma.
La stupenda foto a Mario Benedetti è di di Pierpaolo Farina
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