Vincenzo Cerami è nato e vissuto a Roma. Tra le sue opere narrative il romanzo "Un borghese piccolo piccolo" da cui Monicelli ha tratto l'omonimo film con Alberto Sordi. All'attività letteraria, Cerami ha sempre affiancato quella cinematografica e teatrale. Al cinema ha iniziato collaborando con Pier Paolo Pasolini, suo insegnante di lettere al Liceo, nella regia di "Uccellacci e Uccellini". Fino ad arrivare a tutti i suoi fortunatissimi film di Roberto Benigni, con il quale ha formato una coppia impareggiabile.
Cerami, ci racconta la sua esperienza con il maestro Pasolini?
"Con Pasolini è stato un incontro veramente fortunato. Quelle cose che succedono perché le fa succedere il destino. Io ero un ragazzino, lui è stato il mio insegnante di lettere e ho potuto scoprire attraverso di lui la letteratura, la poesia, l'arte e anche un uomo particolarmente attento alle cose che succedono tra noi, al mondo che cambia, alla nostra felicità, alla nostra sete di giustizia e quindi è stato un faro per me. Sicuramente se non lo avessi incontrato io sarei completamente un'altra persona; probabilmente sarei un ufficiale dell'aeronautica perché mio fratello lo era, mio padre era nell'aeronautica e quindi avrei fatto quel percorso e invece questo incontro mi ha fatto prendere completamente un'altra strada".
Parliamo di "Un borghese piccolo piccolo". E' un romanzo di grandi emozioni, drammatico e terribile, ma profondamente umano. Vedere quella storia raccontata al cinema, che effetto le fece?
"Quando io ho scritto 'Un borghese piccolo piccolo' non vedevo il personaggio davanti fisicamente. Gli scrittori quando scrivono un personaggio lo vedono senza faccia. Deve rimanere un po' un fantasma. Quello che è accaduto nel vedere il film è che ho visto la faccia precisa, che era la faccia di Alberto Sordi, che in qualche modo ne ha condizionato anche l'immaginazione. Non posso più immaginare quel personaggio se non con quella faccia. Ha perfettamente interpretato l'anima del mio personaggio".
Qual è l'uomo ideale di Vincenzo Cerami. L'uomo giusto per essere rappresentato su un libro, al teatro o al cinema?
"Gli uomini andrebbero bene tutti, ma veramente tutti; dal più ricco al più povero, dal più alto al più basso, maschio o femmina: Per diventare romanzeschi bisogna semplicemente fotografarli e sorprenderli in un momento particolare della loro vita. E' un momento in cui qualcuno si chiude la porta alle spalle e ne apre una davanti".
Molti dei suoi lettori hanno conosciuto dal vivo Vincenzo Cerami a teatro, dove tutte le sere in "Canti di scena" saliva sul palco insieme a Nicola Piovani e ad altri brillanti protagonisti per uno spettacolo singolare e trascinante.
Ci parli del suo pubblico?
"L'incontro con Nicola Piovani mi ha fatto riscoprire la poesia, io comincio come poeta…pubblicavo delle poesie su delle riviste e la musica dove ho ritrovato tutto l'entusiasmo per i versi, per la rima, il gioco di parole, per dare spessore e senso forte alle parole.
Io non pensavo di salire mai in scena, tra l'altro io non sono un attore e ne tanto meno sul palcoscenico recito. In realtà sul palcoscenico leggo o faccio finta di leggere, cioè faccio sempre me stesso, non interpreto un personaggio.
Quell'esperienza di 'Canti di scena' è stata fulminante, io piano piano ho capito il pubblico, ho imparato a sentirlo e ogni volta a cambiare il modo di essere davanti a loro a seconda della serata e dei momenti".
Con Roberto Benigni, negli ultimi anni, ha scritto alcuni film riuscitissimi e uno in particolare entrato già nella storia "La vita è bella".
Come è nata questa idea?
"E' un'idea che poteva nascere semplicemente dopo aver fatto altri 4 film prima. Non ci sarebbe mai venuto in mente se non avessimo preso fiducia entrambi, se non avessimo raffinato un po' il linguaggio per poterci poi avventurare in temi anche delicati. Prima di arrivare a questo film abbiamo girato 'Il piccolo diavolo', 'Jonny Stecchino', 'Il mostro' e poi mentre scrivevamo un'altra storia che era tutta comica, tutta farsesca, ci è venuta in mente questa. Abbiamo interrotto quella e abbiamo cominciato 'La vita è bella', perché ci piaceva di più, perché ci emozionava, perché ci sembrava nuova rispetto anche a quello che avevamo fatto prima e poi aveva anche un aspetto sperimentale, sapevamo di rischiare molto, ovviamente, perché fare un film dove il comico muore, che un tabù che si infrange, e un film che per metà è comico e per metà drammatico, tragico, anzi, con Benigni che si metteva in gioco completamente. Un tema molto arduo, ma abbiamo detto se noi facciamo questo film con sincerità, con slancio e senza porci troppi problemi, forse verrà bene. Il pubblico quello che coglie in un film, ma in genere in un'opera d'arte, è la sincerità, lo slancio con cui gli autori lo hanno scritto e percepito".
Tra le sue opere più significative anche uno spettacolo musicale sulla vita di S. Francesco in scena ad Assisi.
Come era il suo Francesco d'Assisi?
"E' una delle cose di cui sono molto, molto contento di aver fatto. La figura di Francesco è una figura certamente universale, che tocca tutti, ma la sento vicino da un punto di vista poetico, tecnicamente, piuttosto che religiosamente o se vogliamo umanamente, quest'uomo che rimaneva incantato, bloccato, scandalizzato da un sasso, da un albero, che assisteva al miracolo della natura, il miracolo del creato, rimanendo emozionato è un po' un procedimento artistico. Questa capacità che un uomo deve conservare, di essere curioso e di rimanere sbalordito di fronte al mistero. Lui ha ritrovato l'essenza della creaturalità dell'uomo, levandogli ogni orpello e lasciandolo nudo di fronte al miracolo della natura. Un personaggio che io ho trattato con questo spirito".
Il 2 Giugno 2001 le è stata conferita dal Presidente Ciampi l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Che valore da a questo titolo?
"Ho grandissimo rispetto, sono rimasto anche un po' sbalordito, però sono stato molto contento, perché io ho sentimenti molto austeri nei confronti del nostro Paese. Io amo molto l'Italia, credo molto nell'Italia, adoro questo Presidente, che ha fatto molto per l'Italia, per l'Europa e che sta a garantire in maniera ferma le nostre regole della nostra Costituzione e quando lui mi ha insignito di questa onorificenza mi sono sentito fiero. Sono contento come quando mi hanno nominato ambasciatore di Andersen in Italia, perché è un grande autore che io amo, adoro e che ho seguito".
Due ricordi, il più triste e il più felice della sua vita?
"In genere si tende a rimuovere i periodi più tristi della propria vita, nel senso che uno cerca di non pensarci, perché dà dolore. Io ne ho rimossi tanti, perché ho avuto una vita che mi ha dato molto da un lato e dall'altro mi ha dato anche dei dolori, compresi i due adulti che erano stati i miei due fari: il mio papà e Pier Paolo Pasolini, che è stato il mio maestro, sono entrambi morti in maniera violenta. Il mio papà è andato sotto un autobus a Roma, Pasolini lo sappiamo, quindi sono stati momenti duri, anche perché si trattava di persone che avevano a che fare con la mia proiezione verso l'esterno, verso il mondo. Erano i miei due ambasciatori del mondo, due specchi del mondo e attraverso di loro cercavo di capire a che mondo ero capitato.
Momenti belli…verrebbe di dire il momento che ho visto la vetrina di una libreria e il mio primo libro. Mi sembrava un miracolo. Però allo stesso tempo debbo anche dire il momento che la prima volta ho visto i miei figli appena nati, ne ho due, mi sono emozionato molto".
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