Cultura

Al Liceo Ginnasio Tasso di Roma c’è “Il ritmo della vita degli uomini”

“Se qualcuno mi dovesse chiedere, come filosofa, cosa si dovrebbe imparare nel liceo, risponderei: prima di tutto solo le cose inutili, greco antico, latino, matematica pura e filosofia, tutto quello che è inutile nella vita. Il bello è che così, all’età di diciotto anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare di tutto, mentre col sapere utile, si possono fare solo piccole cose”.

Questo il pensiero della grande filosofa tedesca naturalizzata americana, Hannah Arendt, pensiero che guida le mie dita sulla tastiera del computer mentre scrivo di un evento che forse pochi conoscono ma che rappresenta un “unicum” nel panorama museale di Roma. Si tratta della mostra temporanea di cinquanta reperti, molti dei quali mai esposti al pubblico, recuperati da musei, collezioni private, università statunitensi, grazie al prezioso intervento dei Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale e provenienti soprattutto da tombe scavate clandestinamente.

Ma la vera bellezza della mostra, intitolata “Il ritmo della vita degli uomini” è che l’esposizione avviene all’interno di un liceo, il Liceo Ginnasio Torquato Tasso di Roma, e che è stata resa possibile grazie alla collaborazione della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura e l’Istituzione scolastica, con gli studenti a fare la parte attiva, dalla contestualizzazione delle opere ad ognuna delle quali è stato affidato un “messaggio” contenuto in un frammento di opere di autori greci e latini scelte appositamente per l’occasione, fino all’accompagnamento del visitatore in un viaggio nel tempo, tanto lontano ma tanto attuale, che viene svelato con una sapienza e una passione che colpiscono e affascinano per come vengono donate.

Dunque, quando leggo per caso di questa mostra, tra un esplosione di sana meraviglia e la prenotazione della visita, passano pochi secondi. Eccomi all’interno di uno dei più famosi licei della capitale, davanti alla porta chiusa al di là della quale è la sala dove sono esposti i reperti.
Ad accogliermi, due studentesse del terzo anno, Olivia e Anna, al loro primo giorno di “accompagnamento”, emozionate quanto lo sono io e professionalissime. Sono l’unico visitatore della fascia oraria scelta, dunque ho l’onore effettuare una visita praticamente privata.

La porta si apre. Entriamo. E quando scorgo le teche di vetro con le meravigliose opere di migliaia di anni fa, provo un tuffo al cuore mentre le lancette dell’orologio della vita tornano indietro vorticosamente e mi riportano a un tempo in cui il mio professore di greco, filologo eccelso, ci insegnava ad amare la bellezza dei poeti greci e delle parole che usavano per descrivere pensieri e sentimenti, termini di cui il nostro DNA è intriso, così lontani e così incredibilmente attuali.

Queste parole le ritrovo come didascalie di vasi, busti, coppe, volti antichi immortalati per sempre che mi guardano e mi parlano con la voce delle due studentesse che si alternano nella spiegazione interrompendosi ogni tanto per farmi assorbire ciò che vedo e ascolto.

Così, Kylix (coppa per bere), Pelike (vaso globulare con anse), Skyphos (profonda coppa per bere), Lekythos (vaso per unguenti), scorrono davanti ai miei occhi offrendomi immagini ora di un Dioniso danzante, ora di Eros, ora di un combattimento tra due guerrieri, ora una lotta tra pigmei e gru. Le studentesse mi spiegano con orgoglio contenuto a fatica del lavoro di ricerca delle frasi che leggo, dei temi che fanno da filo conduttore alle opere, dello studio, della fatica e della soddisfazione di essere riusciti in un’impresa che non ha precedenti.

Snocciolano, citano, esprimono concetti universali in greco e latino mentre ci aggiriamo e i disegni sui vasi sembrano prendere vita come fanno poi nella sala successiva, in una sorta di realtà virtuale dove le voci degli studenti recitano frammenti di poesie proiettati sul pavimento mentre su uno schermo le figure impresse in uno splendido vaso di duemilacinquecento anni compiono un salto di venticinque secoli per piombare nel nostro tempo e dirci che sono vive più che mai. Il tutto dura meno di un’ora.

Il tempo di una foto alle mie due meravigliose guide e poi sono fuori dalla scuola inebriato da una bellezza che mi avvolge e mi fa provare orgoglio per essere figlio della “nobile semplicità e della quieta grandezza” dell’arte classica. Che se poi viene affidata a giovanissimi studenti per essere riproposta in chiave moderna, assume connotati inaspettati e del tutto moderni.

Un plauso speciale va al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) che dal 1969 svolge indagini sul traffico illecito di beni culturali, sui falsi e sugli scavi clandestini e fino ad oggi hanno recuperato più di 3 milioni di beni culturali e sequestrati 1,3 milioni di opere d’arte contraffatte.

Con la storica firma del “Memorandum of Understanding”, avvenuta a Roma nel 2016, l’Italia è stata il primo e l’unico Paese al mondo a istituire e mettere a disposizione dell’UNESCO la Task Force “Caschi Blu della Cultura”, pronta a intervenire, in Italia e all’estero, per le esigenze sul patrimonio, per la valutazione dei rischi, la catalogazione, la protezione e la messa in sicurezza temporanea delle opere.

Luca Laurenti

Romano, è Biologo Patologo Clinico. Scrittore, vincitore di numerosi premi letterari nazionali e internazionali di narrativa, è da molti anni impegnato nella denuncia del degrado di Roma.

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