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Al Teatro Arcobaleno va in scena “Le donne al Parlamento”

Un testo tutto al femminile di grande attualità. Dal 27 gennaio al 12 marzo 2017, al Teatro ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico) di Roma, la Compagnia CASTALIA in occasione del 25° anniversario della sua nascita porta in scena il grande capolavoro della commedia classica “LE DONNE AL PARLAMENTO” di Aristofane, con l’adattamento e la regia di Vincenzo Zingaro. Con Annalena Lombardi, Fabrizio Passerini, Ugo Cardinali, Rocco Militano, Piero Sarpa, Laura De Angelis, Sina Sebastiani, Mario Piana.

Uno spettacolo unico, di notevole impatto, divertente, graffiante, poetico, che lancia un monito profetico sulla decadenza della nostra civiltà. Attraverso la comicità irriverente e la satira sferzante del suo genio fantasioso, Aristofane, ci offre un’illuminante occasione di riflessione sul rapporto conflittuale fra individuo e società, affrontando temi di sconvolgente attualità: la partecipazione femminile al potere politico, la parità dei diritti, la corruzione, l’uguaglianza sociale.

In un’Atene sfiancata dalla guerra, in uno stato di sbando materiale e spirituale, l'autore immagina che le donne, stanche dell'inettitudine degli uomini, della loro incapacità di costruire un mondo giusto, attuino un “colpo di stato” e assumano il potere. Una volta al governo, decidono di mettere tutto in comune, abolendo la proprietà privata e la famiglia.

Tutti attingeranno in parti uguali al patrimonio collettivo, amministrato dalle donne, che avranno in comune tutti gli uomini e potranno fare figli con chiunque. Ma l’utopia protofemminista dell’eroina Prassagora, non potrà realizzarsi e, in un'esplosione di contraddizioni e comicità, il grande sogno si trasforma in un incubo grottesco.

Lo straordinario allestimento di Vincenzo Zingaro restituisce la ricchezza dei molteplici aspetti contenuti nell’opera, recuperando l’atmosfera originale della commedia, soprattutto attraverso l’uso delle maschere, create del celebre CARBONI STUDIO (di cui ricordiamo il sodalizio con Fellini).

Nell'opera di Aristofane, afferma Vincenzo Zingaro, vive il mito di una città che rappresenta la culla della civiltà occidentale: Atene, la città dell'arte, del bello, del pensiero, di cui il poeta fu il più appassionato cantore.

Avvicinarmi al teatro di Aristofane, mi offre, ancora una volta, la possibilità di riappropriarmi di un’identità perduta, di ritrovare una dimensione teatrale pura, in cui fantasia e impegno sociale sono legati indissolubilmente. Diceva Hegel: “Chi non ha letto Aristofane non può capire cosa vuol dire la felicità”.

In effetti, quello che ho provato nel mio primo incontro con l’Autore, avvenuto attraverso la messinscena de “Le Nuvole” e successivamente de “La Pace”, è stato un grande senso di libertà. Alle suggestive atmosfere liriche, il poeta alterna momenti di travolgente comicità, fatti di grottesche caratterizzazioni, satira feroce, lazzi scurrili, in un gioco in cui, alla dirompente fantasia creativa, si accompagna sempre una forte coscienza politica, animata da un profondo senso di umanità.

Quando la commedia “LE DONNE AL PARLAMENTO” fu portata in scena da Aristofane, nel 393 a.c., Atene, sfiancata da quarant’anni di guerra, era una città in profondo declino materiale e spirituale (il processo e la condanna di Socrate, nel 399 a. c., furono una prova tangibile dello sbandamento delle coscienze). In quest’atmosfera di stanchezza e di sfiducia, nascono “LE DONNE AL PARLAMENTO”, che concludono la cosiddetta “trilogia femminista” di Aristofane.

Se le “Tesmoforiazuse” contengono il primo germe di rivolta delle donne contro gli uomini, sotto forma di giocosa parodia letteraria antieuripidea, “Lisistrata” rappresenta il primo moto eversivo determinante (attraverso la negazione del piacere sessuale), che oppone agli uomini, ostinati in una guerra assurda, il diritto delle donne a far valere le loro ragioni. Infine, di fronte alla totale incapacità degli uomini di costruire un mondo giusto, alle donne non resta che un’ultima ed estrema possibilità: assumere il potere.

E’ questo il tema de “LE DONNE AL PARLAMENTO” (“Ecclesiazuse”), in cui Aristofane traccia un affresco iperbolico e paradossale, con l’ironia a lui congeniale, di una società oramai allo sbando, fatta di maschi “impegnati” a dormire e ad espletare i propri bisogni. Una volta al governo, le donne decidono di mettere tutto in comune, abolendo la proprietà privata e la famiglia, i due pilastri della società costruita dagli uomini.

In questo modo non ci sarà più motivo di rubare: tutti attingeranno in parti uguali al patrimonio comune, amministrato dalle donne, che avranno in comune tutti gli uomini e potranno fare figli con chiunque. Con questa provocazione, Aristofane anticipa in modo sconvolgente teorie moderne a noi vicine, che, per la verità, aleggiavano già (seppure in maniera molto teorica) nella realtà del suo tempo, tant’è che una sorta di “comunismo” e di “femminismo” compariranno, di lì a poco, nella Repubblica di Platone.

Ma ad Aristofane, a differenza dei filosofi, non interessava certo teorizzare uno Stato astratto: la sua intenzione era quella di prendersi gioco, come commediografo, degli estremismi, per mostrarne le paradossali conseguenze. E’ appunto quello che farà con il rigorismo della tenace Prassagora, fautrice di un “colpo di Stato” destinato al fallimento, seppure partito da accattivanti premesse.

Nel mio allestimento, ho cercato di mettere in evidenza il senso di precarietà che si percepisce nell’opera. Atene, lontana dagli antichi fasti, attraversa una significativa trasformazione anche nel suo teatro, in particolare, proprio in quella forma di teatro che era stata, sin dalle origini, un momento di esilarante partecipazione e, insieme, di confronto e di arricchimento: la commedia attica antica.

La pregnanza sociale dei suoi contenuti, la satira politica che esprimeva, erano per la città un punto di riferimento fondamentale. Il Coro, sappiamo, era l’anima della rappresentazione: al di là dell’elemento lirico e spettacolare, esso incarnava la “coscienza” dell’autore, attraverso cui si levava la voce dell’intera pòlis. Ne “LE DONNE AL PARLAMENTO” questa voce sembra affievolirsi, fino quasi a tacere.

Il Coro è spogliato della sua funzione critica e si limita ad accompagnare l’azione dei personaggi. Un’umanità spenta e avvilita, che si trascina in un mondo senza più punti di riferimento. Atene appare così una città sepolta, dalle cui rovine la passione civile di Aristofane, pur lontana dalle graffianti sferzate e dagli affreschi lirici de “Le Nuvole” o de “La Pace”, riesce comunque ad affiorare, per lasciarci un messaggio indelebile: attraverso una comicità sempre più malinconica, il poeta sembra dirci, ancora una volta, che l’unica possibilità di salvezza sta nel buon senso e nella volontà di costruire il mondo nella concordia.

“LE DONNE AL PARLAMENTO” segnano un momento di passaggio fondamentale nella storia del teatro: il passaggio dalla commedia attica antica alla Nèa, la commedia attica nuova, che successivamente si affermerà con Menandro. Pertanto ci troviamo di fronte a un esempio di quella che viene definita commedia di mezzo.

Da quel momento, le sorti di Atene cambieranno e con esse quelle del modo di concepire la commedia: il multiforme mondo della fantasia e dell'impegno politico scomparirà e con esso il Coro. I personaggi, estremamente variegati, estrapolati ora dal tessuto cittadino, ora dalla pura immaginazione, lasceranno il posto a "tipi fissi" e l'azione diventerà espressione di motivi standardizzati, tratti dalla vita familiare. Muore così, con la commedia attica antica, la grande stagione di Atene, che rimane immortale nell'opera dei suoi uomini migliori: fra questi non possiamo non riconoscere un posto di primo piano ad Aristofane”.

il venerdì e il sabato alle ore 21,00 – la domenica alle ore 17,30

Ufficio Stampa: Brizzi Comunicazione

TEATRO ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico)Via F. Redi 1/a – 00161 Roma

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