Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo dieci giorni dalla firma del contratto preliminare, è arrivato puntuale il closing per il passaggio dell’AS Roma da James Pallotta a Dan Friedkin, Amministratore Delegato e Presidente di “The Friedkin Group”.
Come si legge nel comunicato ufficiale del club, le cifre e le percentuali di azioni sono quelle previste nel contratto preliminare:
“Il Friedkin Group ha annunciato l’acquisizione, attraverso la Romulus and Remus Investments LLC, di circa l’86,6% del capitale sociale del Club e, inoltre, lancerà un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria sulle rimanenti azioni ordinarie rappresentative di circa il 13,4% del capitale sociale.”
La cifra finale parla di 591 milioni di euro che comprendono l’accollo del debito, l’acquisizione delle quote azionarie in mano al gruppo di James Pallotta e la ricapitalizzazione del club che le condizioni finanziarie attuali rendono indifferibile.
Una trattativa iniziata negli ultimi mesi del 2019, che con il post-Covid ha ripreso ad accelerare, seppur con cifre notevolmente ridimensionate (le cifre allora si aggiravano sui 750 milioni), ma dopo quasi 8 anni, la Roma cambia proprietario, sperando in un futuro migliore.
L’era Pallotta, iniziata in pratica nel 2011, con l’entrata di Thomas Di Benedetto prima che lui lo sostituisse il 27 agosto dell’anno successivo, è fatta di nove lunghi anni ricchi di speranze iniziali trasformate in critiche, polemiche, alti e bassi in termini di risultati e una “deromanizzazione” mai digerita.
Spazio prima ai numeri: a livello finanziario la Roma dell’era Pallotta è cresciuta in valore dai 354 milioni di dollari del 2012 ai 622 del 2019 (dati Forbes): una crescita del 75% che ha collocato la Roma stabilmente nella Top20 europea in questa speciale classifica.
Una crescita fatta di diverse plusvalenze (da Marquinhos a Benatia, da Alisson a Salah, da Lamela a Pjanic, solo per citarne alcuni), usate spesso per “rimettere anche i conti a posto”, fare mercato con nuovi giovani di prospettiva, ma che a lungo andare costruiscono una squadra incompiuta, che lascia andare i propri prezzi pregiati senza fare il definitivo salto di qualità.
Nell’ultimo decennio nove allenatori (Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Rudi Garcia, Spalletti, Di Francesco, Ranieri e Fonseca) e tre direttori sportivi (Sabatini, Monchi e Petrachi, con l’ombra di Franco Baldini) portano la Roma ad un livello alto, ma mai così in alto da poter vincere un vero trofeo. Tre secondi posti e due terzi posti in campionato, e quattro partecipazioni in Champions (fondamentali per le casse giallorosse). Punto più alto la semifinale di Champions League del 2018, e la Coppa Italia sfiorata nel 2013 contro la Lazio, in una sconfitta che, subita da cugini, si è trasformata nel punto più basso per i tifosi.
Ma ciò che ha causato la gran parte delle critiche, feroci negli ultimi anni, è la cosiddetta “deromanizzazione” avvenuta con vicende ormai note: l’ultimo anno da giocatore di una bandiera come Francesco Totti, il successivo allontanamento dello stesso dalla società ed il mancato rinnovo di De Rossi, combinate con una lontananza anche fisica del patron americano con origini italiane. Una gestione della Roma da Boston che non si è rivelata compatibile con una delle tifoserie più identitarie dal punto di vista territoriale.
Vista anche la questione stadio, fronte sul quale Pallotta ha sempre lavorato ma che da oltre tremila giorni non trova la posa della prima pietra, il patron ha deciso di vendere alla Friedkin Group.
Dan Friedkin, CEO di Gulf States Toyota Distributors, il detentore in esclusiva delle vendite di Toyota in cinque Stati americani, ha un patrimonio di oltre 4 Miliardi di dollari. Questo interessa relativamente ai tifosi giallorossi, ma il nuovo presidente (il 25° della storia della società capitolina), nelle parole di presentazione ha già espresso intenzioni interessanti:
“Il nostro impegno nei confronti della Roma è totale. Saremo molto presenti a Roma, una città che occupa un posto speciale nei nostri cuori, mentre ci imbarchiamo in questo emozionante viaggio. Riconosciamo che ci è stata affidata una squadra che rappresenta una parte vitale dell’anima di Roma, e questa è una responsabilità che prenderemo sempre molto sul serio e umilmente”.
Con il figlio e vicepresidente Ryan che si dovrebbe stabilire a Roma, la maggiore vicinanza alla squadra e alla città sembra essere la prima e necessaria condizione da rispettare. Da portare avanti anche la questione stadio, con l’inizio dei lavori da ottenere il prima possibile (viste anche le questioni politiche, tra meno di un anno potrebbe esserci il cambio al timone del Campidoglio).
Infine, al netto della volontà di portare ai vertici la squadra ed il brand (che un po’ tutti dichiarano ad inizio avventura), la possibilità di riportare un po’ di Roma all’interno della Roma, con Totti e De Rossi che probabilmente aspettano solo una telefonata. Perché l’identità e l’orgoglio di un popolo, di una tifoseria e di una città, nell’Urbe viene prima dei soldi e dei trofei e, anzi, può esserne la base. A Roma funziona così.
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