Alessandro La Cava, solo vent’anni, ma tanta creatività, impegno e intraprendenza. «Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica quando avevo solo sei anni», ci ha raccontato, «ma fin da allora ho sempre voluto fare di più: ricordo che i miei insegnanti mi assegnarono lo stesso pezzo per tre o quattro mesi. Io allora andai da mia mamma, e le dissi che volevo fare di più, che mi stava stretta quella realtà… a quel punto cambiai docente! Avevo capito che non faceva per me e che non poteva sostenere i miei sogni».
Abbiamo intervistato Alessandro, e tutta la sua storia è un messaggio di incoraggiamento nei confronti di chi ha una passione e vuole seguirla. A tutti loro ci sentiamo di dire: impegnatevi, studiate, appassionatevi e non perdete mai di vista la vostra personalità. In una parola? Fate sempre di più, spingetevi oltre voi stessi e date sempre il meglio.
Qual è stato il tuo percorso?
«Io nasco come cantante. A 11 anni ho vinto una borsa di studio al CET (Centro Europeo Tuscolano) che mi ha permesso di diplomarmi prima in “autore di canzoni” e poi in “composizione musica pop”. Ho iniziato a pensare che quello sarebbe potuto essere il mio futuro, il mio lavoro. Così, nel settembre del 2018 ho partecipato al concorso “Genova per voi”, portando delle mie demo ed una lettera di presentazione. Non vinsi il concorso, ma comunque arrivai tra i primi otto. Proprio grazie a questo concorso sono stato notato dalla Universal Music Publishing, ed è iniziato così una sorta di tutoraggio: loro mi seguivano, mi davano consigli, mi aiutavano. Spesso salivo a Milano per incontrarli, mi ascoltavano, lavoravamo insieme. Ho scritto tantissimo, sono migliorato. Questo nostro rapporto è continuato per circa un anno e mezzo, e poi è arrivata la firma del contratto».
Di fatto, che cosa cambierà d’ora in avanti, dopo la firma?
«Devo dire che questo anno e mezzo di collaborazione senza contratto è stato un percorso durante il quale mi hanno fatto sempre sentire parte di qualcosa. Il contratto è stato solo una formalità. A livello umano e artistico un legame c’era già, così come lo spirito di collaborazione. Cambierà il mio curriculum e sicuramente sarà un punto a favore per la mia crescita professionale. Questo è un lavoro in cui ci sono due parti da considerare e tenere insieme: una parte creativa, che è indubbiamente la mia preferita, e poi una parte burocratica (tenere contatti, rapportarsi con gli altri, collaborare)».
Cosa significa scrivere musica? E tu in che modo componi?
«Scrivere significa arrivare genuinamente all’anima delle persone. Soprattutto per quanto riguarda la musica pop, deve seguire l’istinto dell’autore. Il mio strumento madre è il pianoforte, che mi permette di comprendere le direzioni a livello armonico. La conoscenza di uno strumento consente di andare a lavorare sul dettaglio, di avere una melodia da seguire e lavorarci su, togliendo ciò che è esterno. Se la base melodica è solida, ciò che si andrà a costruire potrà essere solo più brillante».
Una curiosità: scrivi prima testo o musica?
«Non esiste una regola. La canzone può partire da qualsiasi cosa: una melodia, un titolo, una base, oppure da un concetto. La bravura dell’autore sta nel cogliere qualsiasi input esterno, sommare tutte le componenti e trovare poi un equilibrio. È difficile da credere, ma di fatto non esiste un metodo: bisogna imparare a lavorare a comparti separati, per poi riuscire in futuro ad unirli velocemente attraverso automatismi assimilati con tempo ed esercizio. Dietro ogni canzone c’è un grande lavoro, la gente spesso neanche lo immagina. Sono convinto che solo chi tiene alla musica e non alla fama, solo chi apprezza la musica riesca a scrivere cose profonde e vere».
Molti giovani artisti preferiscono l’estero all’Italia: tu cosa ne pensi?
«Chi prende la decisione di andare all’estero è perché sa di poterci restare. Occorre padronanza della lingua, capacità di comprendere una società e un linguaggio diverso dal nostro. È una cosa che devi sapere, prima di andare: sai replicare quella società nei tuoi brani? Sai arrivare a sensibilità diverse da quelle a cui sei abituato? Se la risposta è sì, allora ha un senso fare un’esperienza all’estero o addirittura costruircisi una carriera. Io non sono per quel mercato. Credo molto nella nostra lingua. Spesso viene sminuita, il suono delle parole non viene analizzato bene. Inoltre oggi la nostra lingua viene molto influenzata dagli slang, e questo permette di essere creativi ancora di più, anche perché sono soprattutto i giovani a parlare in modo più globalizzato. Sono fiero del mio paese e so di poter dare molto. Proprio per questo vorrei cogliere l’occasione per dire grazie. Grazie Italia per quello che stai sopportando in questo periodo difficile. Vorrei ricordare a tutti che è proprio la musica che può aiutarci nei momenti difficili. La musica può farci respirare un po’ di quella libertà di cui sentiamo tanto la mancanza. Ascoltate la musica e lasciate che vi aiuti».
*Articolo a cura di Esmeralda Moretti
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