L'hotspot ha fatto scuola, parola per anni accostata all'idea di agganciarsi a un wifi libero, da qualche tempo ormai legata invece al fenomeno dei migranti. Il corrispondente italiano è 'punto di crisi', in realtà la definizione inglese identificherebbe una "area o regione caratterizzata da un'attività intensa che desta preoccupazione": come, ad esempio, in casi sanitari (Ebola) o ambientali (inquinamento). Ma ormai, hotspot è diventato per tutti il "punto di primissimo smistamento allestito in prossimità dei luoghi di sbarco degli Stati di frontiera" per l'identificazione e la registrazione dei migranti.
Il linguaggio delle migrazioni ha ormai un bagaglio di termini ed espressioni per lo più in inglese difficilmente comprensibili. Sembra un secolo fa, e per certi versi è così, ma alla metà degli anni Ottanta il vocabolario si limitava a formule linguistiche certo popolari e rozze che neppure lontanamente avrebbero potuto far presagire l'evoluzione del linguaggio. Ricordate il "vu' cumprà" per indicare in termine spregiativo e razzista i venditori ambulanti di origine africana e, in modo più esteso, tutti gli extracomunitari? L'Italia, all'epoca, stava cominciando a diventare un Paese di immigrazione, i flussi avevano definite e limitate aree di provenienza. La più importante di queste aree era certamente il Marocco che per alcuni studiosi (Pierre Vermeren, in particolare) ha rappresentato per l'Europa ciò che è stato e continua ad essere per gli Stati Uniti il Messico. Non a caso, sempre in quegli anni si affermò la parola "marocchino" proprio per definire in modo generico e per lo più denigratorio gli immigrati e in modo specifico i neri e gli arabi.
Altri tempi, oggi le parole della migrazione sono tante e difficili da comprendere, in gran parte in inglese, prodotto spesso di processi burocratici e quindi figlie di tecnicismi da addetti ai lavori.
La Commissione europea ha cercato di far chiarezza pubblicando sui social media un glossario dei termini più usati in materia, 23 parole che rappresentano però plasticamente proprio la complessità del fenomeno e generano in chi legge l'impressione che ogni soluzione sia ben lunga a venire.
Alcuni termini lasciano dannate perplessità come ad esempio l'uso di "alien" che ha radici profonde e non certo positive nella cultura pop e cinematografica per identificare un "cittadino di paese terzo". Ma anche e soprattutto "deportation", in italiano opportunamente tradotto in "espulsione", visto che l'accostamento a un glossario dell'Olocausto lo rende un drammatico ricordo.
"Le parole sono importanti" ricordava Nanni Moretti, qui ancor di più visto che un termine sbagliato può generare incomprensione o errata interpretazione. E, visti i tempi che corrono, non ci vuole molto per alimentare il fuoco già piuttosto alto del sentimento di insicurezza se non di ostilità che aleggia in Europa nei confronti degli immigrati.
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