Gesù va oltre il Giordano e le folle lo seguono: “Egli insegnava loro, come era solito fare”. In questa cornice si trova il brano odierno (Mc. 10, 2-16): un dialogo su matrimonio e divorzio e la benedizione dei bambini come modello di sequela per tutti.
Questo dialogo didattico sul matrimonio è un’unità che presenta i farisei prendere l’iniziativa mentre si avvicinano a Gesù e gli chiedono: “E’ lecito a un marito ripudiare la propria moglie?”. Rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?… Mosè ha permesso…” (vv. 2-4). La domanda fatta a Gesù riflette una questione dibattuta all’interno del giudaismo circa la “liceità” per un uomo di procedere a una eventuale separazione dalla propria moglie attraverso un atto di ripudio. Le due grandi scuole rabbiniche del tempo erano divise a tale riguardo: quella di Shammai era più rigorosa; quella di Hillel era più permissiva.
Perciò la domanda fatta per tentare Gesù (v. 2) contiene da parte dei presenti un’attesa: da che parte si schiererà il Nazareno e su quali ragioni? Gesù risponde con una “contro domanda” che, dal potere del marito, porta parimenti al suo dovere fondato sul comandamento di Mosè, rinviandoli alla volontà originaria di Dio. La posizione che assume Gesù nella discussione che segue lo vede contestualizzare e ridimensionare la portata di una particolare indicazione della legge mosaica. Questo è solo l’aspetto più esterno del dialogo, perché Gesù sin dall’inizio supera le strettoie del legalismo del lecito o proibito, per collocarsi di fronte al progetto originario del Creatore.
Nella discussione che segue, Gesù vuole andare al punto nevralgico del ripudio, alla “durezza del cuore”, distinguendo così il progetto originario di Dio, racchiuso in Gen. 1-2, e ciò che è avvenuto dopo e che ha provocato una distanza tra ciò che ha ordinato Mosè e ciò che in origine Dio aveva voluto per l’uomo e la donna. La vera e propria risposta di Gesù, con il riferimento alla durezza del cuore (v. 5) sottrae all’istituzione giuridica il fondamento etico della separazione e del ripudio.
“…Così non sono più due, ma una carne sola” (vv. 6-8). L’argomentazione di Gesù mira a una nuova comprensione dell’unione originaria di un uomo e di una donna nel matrimonio e alla sua indissolubilità. Gesù pone l’accento sul momento dell’unità, che comprende tutta la vita relazionale quotidiana della persona, “spirito, anima e corpo”. Gesù conclude: “Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” (v. 9). Dio è il soggetto del processo, colui che unisce la coppia. L’uomo non può tenere separato il maschio dalla femmina, poiché Dio per vocazione ha chiamato ambedue a imparare a vivere sotto uno stesso positivo vincolo della sequela. Gesù ristabilisce così l’ordine originario, rigettando la separazione, introdotta a motivo della “durezza di cuore”, e riaffermando la volontà integrale di Dio.
La Chiesa, seguendo la parola di Gesù, ha mantenuto il divieto di risposarsi (vv. 10-12). Il divorzio è escluso non solo per l’uomo, ma anche per la donna. Anche l’amore coniugale può e deve essere vissuto come risposta alla chiamata alla sequela, sulla via della croce verso il regno di Dio, esattamente come tutti gli altri stati di vita.
Gesù invita i discepoli a imparare dai bambini, anche se quelli sono i primi a non comprendere. Per questo allontanano le mamme con i loro piccoli: “Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono…Lasciate che i bambini vengano a me…a chi è come loro appartiene il regno di Dio” (vv. 13-14). Tale difesa degli adulti che gli portano i bambini, simili ai poveri di ogni tempo davanti a Dio, porta Gesù a formulare una promessa e rivelare la sua autorità, con la quale parla di ricevere e di entrare nel regno di Dio. A chi ha una fede da fanciulli è già dato ora tutto quanto si realizzerà un giorno in modo visibile.
I discepoli mostrano di non essere ancora capaci di entrare nello stile del Maestro, che si mette dalla parte dei piccoli. Assumere lo stile dei piccoli che Gesù presenta come modello per loro è centrale per entrare nel Regno. “E prendendoli tra le braccia, li benediceva imponendo le mani su di loro” (vv. 15-16). Per accogliere il Regno è richiesto il medesimo atteggiamento dai discepoli, che pertanto sono chiamati a una nuova competenza, quella di “diventare come bambini”. Una perla di Gesù che squarcia il mistero di Dio che si rivela e si dona ai piccoli, perciò Gesù nella preghiera “esulta nello Spirito Santo” e rende lode al Padre, dicendo ai discepoli: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”.
Difficili e dure le parole di Gesù! L’amore autentico è una pianta rara. Splendida e feconda di frutti, ma anche delicata. Chiede attenzione, cura, continuità. Troppe volte lo si confonde con la passione, con alcuni momenti magici e istintivi, e ci si dimentica che esso coinvolge tutta la persona. E’ sentimento, affetto, tenerezza, ma anche volontà, tenacia, sforzo. In altre parole, ci si ama con il cuore, ma anche con la testa. Ci si vuole bene con il bello e cattivo tempo, con il mal di pancia e il mal di testa. “Prometto di esserti fedele sempre…”: chi ama viene allo scoperto, si espone, e quindi è anche terribilmente fragile. La fedeltà è l’assicurazione di essere considerato/a “unico/a” e di poter contare sempre, in ogni frangente, sull’amore dell’altro: “con la grazia di Cristo”.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita, 2021.
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