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Amore di Dio Trinità

Il vangelo di Domenica prossima, festa della Santissima Trinità, è tratto dal brano di Giovanni ( 3, 16-21 ), dove viene riportata una conversazione notturna tra Gesù e Nicodemo, un capo dei Giudei. Gesù, per convincere Nicodemo della necessità e della possibilità della “rigenerazione dallo Spirito” si presenta nella sua qualità di perfetto testimone e rivelatore e si appella alla fede con cui anche Nicodemo dovrebbe accogliere la testimonianza di Gesù. Ogni uomo, specialmente se istruito nelle Scritture, dovrebbe sapere che quello che nasce dalla carne è carne, che l’uomo è perduto, che la sua vita è senza sbocco, che le sue aspirazioni restano non colmate. Chi non comprende la propria situazione disperata e la necessità di un rinnovamento, come potrà comprendere che tutto ciò è reso possibile e attuale dalla incarnazione, passione, morte e risurrezione del Figlio dell’Uomo? Sono queste le cose celesti che Gesù si appresta appunto a rivelare a Nicodemo.

L’opera salvifica del Figlio manifesta l’amore del Padre

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…” (v. 16). Questa affermazione di Gesù va letta sullo sfondo dell’avventura di Abramo che non risparmiò il figlio suo, il suo unico, Isacco che tanto amava, per donarlo a Dio. La stessa persona di Gesù è “il dono del Padre”, che si esprime primariamente nella missione del Figlio nel mondo, nel fatto stesso dell’incarnazione che già da sola colma l’abisso tra Dio e il mondo ed è il segno manifesto della grandezza dell’amore di Dio Padre. Tuttavia, questo “dono” comprende anche l’esaltazione sulla croce, anzi in essa il dono di Dio raggiunge il suo culmine. L’oggetto dell’amore di Dio concerne “il mondo”, cioè tutto il mondo creato e in special modo tutto il mondo umano. Anche per quel mondo che per sua propria decisione è diventato cattivo, per il fatto che ha rifiutato la luce e non ha creduto in Cristo, sotto la leadership di Satana. Ma dal punto di vista di Dio e di Cristo il disegno salvifico non può non essere universale anche se ha bisogno, per attualizzarsi, della risposta degli uomini: “affinché chiunque crede in lui, non muoia ma abbia la vita eterna” (v. 16).

L’evangelista Giovanni ripete ancora una volta che tutta la missione del Figlio è ordinata soltanto alla salvezza degli uomini; la condanna non deriva dall’azione e dalla iniziativa di Dio, ma unicamente dalla scelta dell’uomo. Sottolineiamo ancora una volta questa affermazione di Giovanni: la missione del Figlio è esclusivamente orientata alla salvezza degli uomini e non alla loro condanna. Cristo finché resta uomo tra gli uomini, altra preoccupazione non ha se non quella della loro salvezza. Non diversamente deve essere la Chiesa, che continua Cristo nel tempo: piegando il suo irrinunciabile aspetto “giuridico-istituzionale” alla missione “carismatico-salvifica” che Cristo le ha affidato e che la caratterizza come tale.

La duplice risposta degli uomini: fede e salvezza/incredulità e condanna

Tuttavia Gesù non nega l’esistenza di un giudizio e di una condanna nell’arco del tempo presente, durante l’esistenza. Mentre negli altri evangelisti il giudizio è rinviato al momento della Parusia (ritorno finale) del Figlio dell’Uomo, per Giovanni è già anticipato e si realizza nel confronto stesso degli uomini con Cristo, fin dalla sua prima manifestazione.

Giovanni interpreta l’avventura di Gesù come un prolungato processo, prodotto dalla rivelazione progressiva in eventi e parole di Gesù, rivelazione che pone i protagonisti e gli spettatori in stato di allerta e di contesa, e che si conclude con una “separazione” e un “giudizio-condanna”.  Questo dato storico diventa il paradigma, il copione e viene teologizzato da Giovanni: i contemporanei di Gesù rappresentano tutti gli uomini di tutti i tempi, nel cui animo lo stesso dramma continua a comporsi e a risolversi. La parola di Cristo non lascia nessuna persona come era prima, ma la obbliga a mostrare senza compromessi il suo vero volto, la mette in “crisi”: o l’uomo si mette dalla parte delle realtà incarnate dal Verbo (la luce, la verità, la vita), oppure rifiuta Cristo e allora sposa l’odio, la menzogna, le tenebre, la morte, ed è perciò stesso giudicato.

“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (v. 18)

Non che la condanna per il credente sia definitivamente esclusa: è necessario infatti restare nella fede; ma è altrettanto certo che la fede, per se stessa, esclude la condanna e non può condurre ad essa. Al contrario, il rifiuto della fede in Gesù costituisce già una vera e propria condanna per sé definitiva. Non si tratta di una condanna inflitta da un giudice dopo che è stato commesso un delitto, ma di un fatto inerente alla scelta stessa che gli uomini fanno, allorquando sono confrontati col dono di Dio. Non è Dio a votare alla condanna e alla perdizione gli uomini; sono gli uomini stessi che si condannano da sé!

“E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (v. 19)

Poiché Dio ha agito sotto la spinta del suo amore universale, il giudizio ha preso stanza nella storia, ora, al presente. E se ci si chiede perché di fronte a Cristo, che è la luce venuta nel mondo, gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, la risposta è una sola: perché le loro opere erano cattive. Il conflitto fra luce e le tenebre ha il suo campo di battaglia proprio nel cuore di ogni uomo. Chi fa il male odia la luce perché ha paura di scoprirsi e di rendere manifesto il suo peccato: egli ha già scelto profondamente per il male. Invece chi agisce con onestà e con rettitudine, chi sinceramente cerca la verità, costui, anche implicitamente, arriva a Cristo che è luce e vita, forse anche senza saperlo.

La duplice reazione di fede o di incredulità di fronte a Gesù dipende dalla scelta personale dell’uomo, scelta che è influenzata dal proprio modo di vita, a seconda che le sue azioni sono malvage oppure sono fatte secondo Dio. Il Cristo fa emergere in piena luce quello che realmente una persona è, l’esatta dimensione e natura della sua vita. Gesù è una luce penetrante che provoca separazione e giudizio rendendo palese ciò che un uomo veramente è, nel suo intimo.                                                                            

Bibliografia consultata: Mannucci, 1970.

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