Ancora parabole
Tesoro, Perla, Rete
Le parabole del tesoro nascosto (Mt. 13, 44) e della perla preziosa (vv. 45-46) costituiscono una coppia di parabole. Esse mirano ad impartire una medesima e unica lezione partendo da due immagini che si completano: la prima parte dall’esempio di un povero bracciante agricolo che lavora la terra degli altri, la seconda mette in scena un mercante il cui commercio di lusso suppone grandi possibilità finanziarie. La terza parabola della rete (Mt. 13, 47-50) riprende i termini e le immagini della parabola della zizzania e della sua spiegazione e tende chiaramente ad inculcare lo stesso insegnamento.
Il tesoro nascosto e la perla preziosa (vv. 44-46)
I due racconti, con molta probabilità inizialmente uniti, sono polarizzati sui personaggi: l’uomo che ha scoperto il tesoro, sul valore di esso; il comportamento del mercante che trova una perla di grande valore. Il narratore vuole interessare gli uditori non al tesoro o alla perla in se stessi, ma al comportamento dei personaggi di fronte alla scoperta sensazionale che hanno fatto. Sulle circostanze della duplice scoperta i racconti non forniscono alcun particolare. Nel primo caso, è la descrizione del modo di comportarsi del lavoratore dopo la scoperta che indirettamente ci informa sul fatto che il campo in cui lavora non gli appartiene. Nulla viene detto sulle modalità della scoperta del tesoro. Né siamo meglio informati sulle circostanze che fecero scoprire al mercante la perla di grande valore. La scoperta è solo il presupposto che permetterà poi di comprendere il comportamento dei due uomini.
Per descrivere questo comportamento dopo la scoperta, i due racconti si esprimono nella stessa maniera: i personaggi, pieni di gioia, vendono tutti i loro averi e comprano il campo che nasconde il tesoro; la perla di grande valore. E’ questa conclusione che va evidenziata! Tanto più che il comportamento non è del tutto naturale: vendono mille per acquistare mille! L’anomalia è indubbiamente legata al fatto che il narratore è stato costretto ad adattare il proprio racconto all’insegnamento religioso a cui erano destinate le parabole. I due racconti si limitano a domandare agli ascoltatori se ritengono opportuna la maniera di agire dei due personaggi, i quali si sono disfatti di tutti i loro beni per acquistarne un altro di valore infinitamente superiore. Il giudizio deve riguardare direttamente la decisione di vendere tutto di fronte alla scoperta inattesa: è proprio questo il modo migliore di agire, di approfittare di un’occasione unica, di una possibilità che decide di tutta la vita?
L’applicazione nella predicazione di Gesù
La situazione concreta e immediata del bracciante agricolo e del mercante che hanno scoperto il tesoro e la perla preziosa è quella degli ascoltatori di Gesù: la sua missione costituisce per loro la possibilità meravigliosa da sfruttare. Nel momento stesso in cui Gesù parla, il Regno di Dio è presente, come un’occasione da non lasciar perdere. E’ il comportamento che Gesù si attende da parte di coloro che ricevono la buona novella del Regno: si tratterebbe della risposta da dare al messaggio evangelico Nulla è troppo caro di fronte al bene offerto: puntare su questo bene tutto ciò che si possiede, tutto ciò che si è, significa realizzare un affare straordinario. Come è possibile lesinare, esitare di fronte ad un impegno totale?
La rete piena di pesci (vv. 47-50)
Nel Regno dei cieli avviene la stessa cosa che avviene in una rete piena di pesci. La vera rassomiglianza si realizza solo quando ha luogo la scelta tra pesci buoni e quelli cattivi. La parabola è costituita da due scene: la prima descrive una grande rete che viene gettata nel mare e raccoglie ogni genere di pesci; nella seconda, i pescatori hanno tratto a riva la rete piena, hanno raccolto in recipienti ciò che era buono e ributtato in mare ciò che non valeva nulla. Questa descrizione riflette la situazione problematica che ha un ruolo importante nell’insegnamento di Gesù. Gesù annuncia come imminente la venuta del Regno di Dio. Tutti sanno che questa venuta deve incominciare con una grande pulizia: i peccatori devono essere eliminati, perché solo i giusti potranno beneficiare dei vantaggi del Regno.
Giovanni Battista l’ha appena ricordato con forza. Ci si aspetta dunque di vedere Gesù dare inizio all’opera di purificazione, con condanna dei peccatori, e la riunione dei giusti attorno alla sua persona. Ma il suo ministero non corrisponde affatto a questa attesa. La longanimità da lui dimostrata verso i peccatori è motivo di scandalo: Giovanni stesso, in carcere, non comprende più. Gesù deve spiegarsi, e lo fa in molti modi: la sua missione riguarda i peccatori, di cui Dio vuole la salvezza; non è suo compito anticipare l’ora del giudizio. Dio si comporta come il proprietario del campo che aspetta la mietitura per separare il buon grano dalla zizzania, come i pescatori che raccolgono tutto nella loro rete e poi procedono alla scelta.
La mansuetudine di cui Gesù dà prova verso i peccatori non deve quindi rappresentare un motivo di scandalo: nell’intervento finale di Dio, il suo ministero costituisce un primo tempo, quello in cui la rete si riempie di ogni genere di pesci. Il momento della separazione dei buoni dai cattivi non è ancora giunto: ma verrà, non possiamo dubitarne. Ciò che diviene evidente nella spiegazione che ne dà Matteo: alla fine del mondo Dio farà giustizia verso i peccatori. In questo severo avvertimento, affiora la preoccupazione catechetica dell’evangelista, preoccupato dal vedere che in molti cristiani la parola di Dio è rimasta sterile. Egli vuole ricordare loro che ciascuno sarà giudicato secondo la propria condotta.
Lo scriba divenuto discepolo (vv. 51-52)
Si tratta di un proprietario ben provvisto di “cose nuove” e “cose antiche”: nelle sue riserve si trova ciò che è necessario per venire incontro a tutte le necessità della sua casa. La condizione del proprietario ben provvisto illustra innanzi tutto quella dello “scriba” divenuto discepolo del Regno dei cieli, e la condizione di questo scriba illustra quella in cui si trovano i discepoli di Gesù che hanno compreso ciò che egli voleva dire loro per mezzo delle parabole. Lo scriba cristiano deve essere incoraggiato ad insegnare il nuovo senza rinunciare all’antico, a coordinare il Vangelo e la Scrittura (A. T.): basta ricordare le antitesi del discorso della montagna e le citazioni di riflessione. Durante il suo ministero terreno, Gesù non ha incontrato nessuno scriba del genere; ma dopo la risurrezione ne ha conquistato uno a viva forza nella persona di Paolo, l’apostolo delle Genti.
Bibliografia consultata: Dupont, 1972; Gnilka, 1990.