Ancora una parola sul 26 maggio 2019, una data spartiacque per l’Europa
Sono ormai tre giorni, dopo che le urne si sono chiuse, che le bocche si sono spalancate…
Sono ormai tre giorni, dopo che le urne si sono chiuse, che le bocche si sono spalancate. È il refrain tipico di qualunque elezione in cui, a voto ultimato, leader politici, esperti vari e addetti ai lavori fanno a gara per vivisezionare dei dati che, sovente, sono ancora parziali. E ad attribuire – e più spesso autoattribuirsi – la vittoria anche contro la logica dei numeri. Chi ha vinto quindi? E chi ha perso in queste Elezioni Europee del 2019?
I risultati italiani
Diciamo subito che la prima débâcle si è registrata, come sempre, tra i sondaggisti, che in questa tornata elettorale, per non farsi mancare niente, hanno miseramente fallito anche le proiezioni. Tuttavia, non volendo forse perseverare nello stesso errore, stavolta, oltre a sottostimare il principale partito di centrodestra (nell’occasione, la Lega), hanno pensato bene di non sovrastimare, come sempre, il Partito Democratico, bensì il M5S. Il grande sconfitto. Si parla di Caporetto, e in effetti i numeri lo confermano. Un anno di Governo ha causato il dimezzamento (in termini di numero di votanti) dei consensi del Movimento 5 Stelle, che ora si ritrova doppiato dagli alleati leghisti. Segno che la scarsa competenza, i tanti no e lo spostamento sempre più accentuato a sinistra non solo non hanno giovato, ma sono addirittura risultati controproducenti. Di Maio ha incautamente affermato che i Cinque Stelle sono stati penalizzati dall’astensione, confermando che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi: infatti, le circoscrizioni in cui i grillini hanno tenuto, e anzi hanno battuto l’alleato-rivale, sono quelle del Sud e delle Isole, che già alle Politiche di un anno ne fa avevano premiato le promesse assistenzialiste. Si tratta però delle circoscrizioni che comprendono le Regioni con il picco più basso di affluenza. Vale a dire che non è stata l’eccessiva carenza di votanti a danneggiare i pentastellati, semmai l’eccessiva abbondanza.
Abbondanza di cui si è certamente giovato Matteo Salvini, il vero trionfatore di questa tornata elettorale, considerato che la Lega ha più che quadruplicato i voti rispetto alle precedenti Europee e li ha quasi raddoppiati in confronto alle ultime Politiche. Il Capitano ha ribadito che non vi saranno conseguenze sul Governo Conte, ma è chiaro a tutti che, ribaltati i rapporti di forza, anche l’agenda gialloverde dovrà subire uno scossone. E che, come già lasciava intuire l’ultima intervista pre-elettorale del sottosegretario Giancarlo Giorgetti, la prossima volta che i pentastellati proveranno a mettersi di traverso su temi cari al Carroccio come l’Autonomia o la Tav sarà, probabilmente, l’ultima.
Si conferma poi in crescita il Partito Democratico, che probabilmente ha beneficiato dell’effetto Zingaretti: non tanto a livello di contenuti, visto che la campagna elettorale dei dem si è basata unicamente sull’idea (peraltro insensata) che un voto al Pd avrebbe sancito l’inizio della fine del Governo gialloverde; quanto per il riposizionamento (reale o percepito) a sinistra, che ha verosimilmente indotto i delusi del renzismo a tornare a dare fiducia alla Ditta. Non è ancora una vittoria, ma il sorpasso sul M5S permette quantomeno ai democratici di orientare il proprio barometro verso il bel tempo.
Cosa che non si può dire di Forza Italia, malgrado le dichiarazioni baldanzose rilasciate in queste ore da alcuni esponenti che hanno addirittura evocato un presunto miracolo compiuto da Berlusconi in sole due settimane. Certo, gli azzurri hanno evitato il tracollo: ma, se si pensa che solo pochi giorni fa il Cavaliere si diceva sicuro di far arrivare il partito al 20%, parlare di “miracolo” appare quantomeno fuori luogo.
Può invece esultare Fratelli d’Italia, che per la prima volta espugna l’Europarlamento vantando anche la seconda migliore crescita dietro alla Lega. A conferma che l’asse sovranista risulta essere il vero vincitore di queste Elezioni Europee. In Italia e non solo.
I risultati in Europa
In effetti, il Belpaese si è inserito in un quadro in cui il successo di una formazione ostile agli attuali assetti europei non rappresenta certamente un unicum. Probabilmente il risultato più clamoroso di queste Elezioni Europee è il sorpasso di Marine Le Pen su Emmanuel Macron. Il Rassemblement National è infatti divenuto il primo partito di Francia, battendo – seppur di poco – La Republique en Marche che fa riferimento a Monsieur le President. Qualcuno ha affermato che i sovranisti d’Oltralpe si sono giovati delle proteste dei Gilet Gialli. Un’ipotesi quantomeno azzardata, visto che i manifestanti anti-Macron erano decisamente schierati a sinistra.
Nel Regno Unito, “costretto” al voto nonostante l’imminente divorzio dalla UE, l’unico trionfatore, complice anche la crisi profonda di conservatori e laburisti, è il neonato Brexit Party di Nigel Farage, un’altra formazione che definire euroscettica sarebbe un eufemismo.
In Germania, che si fregia di essere la locomotiva europea, si è registrato il crollo dei partiti tradizionali, la CDU-CSU di Angela Merkel (che resta comunque il primo partito) e la SPD umiliata anche dai Verdi.
La Spagna è l’unico dei grandi Paesi in cui il Partito Socialista è uscito vincitore, forse anche per i demeriti degli avversari popolari.
L’Austria ha invece confermato la virata a destra, e questo malgrado il vergognoso agguato mediatico-giudiziario al leader di Fpö Heinz-Christian Strache (il cui comportamento, beninteso, resta comunque ingiustificabile).
L’Ungheria ha visto l’ennesimo trionfo di Viktor Orbán, altro dato che dovrebbe far riflettere gli eurocrati: più loro attaccano il leader di Fidesz accusandolo di autoritarismo e lontananza dai cosiddetti “ideali europei”, più gli elettori di Budapest ne premiano le politiche. E, fino a prova contraria, la sovranità continua ad appartenere al popolo.
Perfino in Grecia i conservatori hanno dato il benservito ad Alexis Tsipras, stavolta in senso letterale, dato che il leader di Syriza ha annunciato elezioni politiche anticipate.
In questo quadro, in cui la tradizionale coalizione tra popolari e socialisti europei non godrebbe della maggioranza dell’Europarlamento, si ipotizza già di allargare l’alleanza a liberali e verdi. Se ciò avvenisse effettivamente, sarebbe l’ennesima dimostrazione di quanto le élite sono distanti dal comune sentire – e, probabilmente, anche vittime di una sorta di tafazzismo. Se infatti c’è qualcosa che queste elezioni hanno già dimostrato è il fatto che il cambiamento è già realtà, e una restaurazione dell’Ancien Régime in salsa junckerian-moscoviciana sarebbe semplicemente inconcepibile. Escludere allora dal Governo continentale le forze conservatrici e sovraniste premiate dai popoli di (quasi) tutta Europa suonerebbe come una vendetta contro quegli stessi popoli che hanno osato esprimersi in modo non conforme ai desiderata degli “euroinomani”. Il che, verosimilmente, non farebbe altro che radicalizzare le posizioni degli elettori, portando altre valanghe di voti agli euroscettici. Chapeau.