Andreotti e i suoi misteri. Scandagliato nel saggio di Massimo Franco
Il fascino, sommamente ambiguo, di Giulio Andreotti, uomo enigmatico e potentissimo, specie negli anni della Prima Repubblica
Enigmatico e potentissimo. Specie negli anni della Prima Repubblica. Sabato scorso, a Valmontone, se ne è parlato a fondo nella rassegna curata da Mariagloria Fontana e promossa dall’assessorato alla Cultura di Matteo Leone. Metti il fascino, sommamente ambiguo, di Giulio Andreotti, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. E metti la competenza e la notorietà, anche televisiva, di un giornalista-saggista come Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera ed esperto conoscitore delle vicende politiche italiane. Le premesse di una serata riuscita, per questo secondo appuntamento di “Una Primavera di libri”, c’erano davvero tutte.
E la risposta del pubblico lo ha confermato: sala piena e attenzione intensa, con tanto di domande e considerazioni finali da parte di alcuni degli intervenuti. Il terzo fattore di richiamo, d’altronde, era la vicinanza di Andreotti a queste zone del Lazio: originario di Segni, il super decano della DC aveva il proprio feudo elettorale in Ciociaria ma la sua influenza si estendeva alle zone limitrofe ed era resa ancora più ampia, e poderosa, dai ruoli di primissimo piano rivestiti via via nei governi nazionali.
Ottimi gli ingredienti, ottimo il loro utilizzo da parte di Mariagloria Fontana, la giornalista scrittrice che ha ideato questa rassegna e che ne è la curatrice. Un po’ regista e un po’ protagonista, come si conviene a chi presenti questo genere di incontri e non si limiti ai saluti di rito e alle parole di circostanza, ha introdotto la conversazione e ne ha guidati gli sviluppi con la tranquilla sicurezza di chi è a suo agio e sa di averne motivo. A completare il cast, infine, c’era Federico Zamboni, a sua volta giornalista e scrittore e osservatore assai critico, e assai affilato, di tutto ciò che è establishment e “pensiero unico” di matrice liberista.
Andreotti: Belzebù o uomo di fede e di governo?
“C’era una volta Andreotti. Ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese”: il titolo del libro di Massimo Franco (che riprende, aggiornandolo, un volume già pubblicato nel 2008) è questo. E fa capire da subito quanto sia ampio, e stimolante, e insidioso, il territorio da esplorare quando ci si voglia occupare del più longevo e controverso dei politici italiani. Il dato di fatto è che Andreotti ascesa già da molto giovane a incarichi di rilievo e non si ritirò mai del tutto, anche se è indubbio che la parte più importante della sua carriera coincida con i circa quarant’anni che vanno dalla fine della Seconda guerra mondiale al crollo della cosiddetta Prima repubblica. Fatalmente, e non senza che egli stesso ne desse motivo con i suoi atteggiamenti a loro modo provocatori e certe sue scelte a dir poco spregiudicate, i giudizi su di lui sono stati i più diversi, spaziando dall’ammirazione persino succube all’avversione addirittura feroce: per gli estimatori fu un esempio straordinario di sagacia governativa, capace di tenere a galla la “Nave Italia” e di darle una rotta quantomeno accettabile nonostante i problemi interni e le pressioni straniere, a cominciare da quelle degli USA; per i detrattori, invece, fu un diabolico concentrato di cinismo senza scrupoli che era pronto a tutto, ivi inclusi gli inconfessabili legami con la mafia e con i servizi segreti più o meno “deviati”, pur di conservare e rafforzare il suo potere personale. Magari anche a vantaggio del Vaticano, ma per soddisfare innanzitutto la propria smisurata ambizione.
Il libro di Massimo Franco, al contrario, rifugge da qualsiasi eccesso e mantiene dalla prima all’ultima pagina un estremo equilibrio. Benché acuto, e informatissimo, il suo è essenzialmente un resoconto, in una chiave spiccatamente giornalistica. L’idea, poi riconfermata esplicitamente nel corso della serata, è che i lettori debbano formarsi da sé la propria opinione. E perciò anche gli aspetti più inquietanti, che non si esauriscono affatto nei clamorosi processi a suo carico, vengono tratteggiati con il dovuto nitore ma senza alcuna enfasi: per dirla con Zamboni, “è una sorta di informativa su ciò che è accaduto, altrettanto lontana sia dalla perorazione a favore che dalla condanna sommaria”.
Un approccio non solo editoriale, evidentemente. Come si è visto durante tutta la presentazione di sabato scorso, Massimo Franco non elude nessuna domanda ed è pronto a ragionare su qualsiasi obiezione. Allo stesso tempo, però, sa benissimo che i fattori in gioco sono troppo numerosi e intricati per sfociare in conclusioni agevoli e a senso unico. La parola chiave è “complessità”. E la complessità esige studio, approfondimento, onestà intellettuale. Ossia tutto l’opposto di quello che è solitamente il dibattito politico, e mediatico, nel nostro Paese.
“Primavera di libri”: la cultura che ci piace
Tra le finalità della rassegna progettata e diretta da Mariagloria Fontana, del resto, c’è di sicuro anche questa. Dimostrare che è possibile parlare di libri con profondità ma senza ombra di sussiego: se nessuno degli oratori sprofonda nell’autocompiacimento, e se ha davvero qualcosa di significativo da esprimere, la cultura torna a diventare viva e pulsante. E l’uditorio smette di essere pubblico passivo, nella classica e pessima abitudine di derivazione televisiva, diventando compartecipe di una riflessione comune. Insomma: il problema vero non è riuscire a coinvolgere chi è abbastanza lucido e dinamico da spezzare le solite routine e da venire a questo genere di incontri, ma far sapere a quante più persone possibile che cosa si sta facendo e che cosa si perdono, a restarsene a casa.
A proposito: martedì prossimo, sempre con inizio alle 18 e sempre nella splendida cornice (cornice, non location!) del Palazzo Doria Pamphili di Valmontone, sarà la volta di Nadia Terranova e del suo ultimo romanzo “Addio fantasmi”.
Come recita la quarta di copertina, l’autrice “racconta l’ossessione di una perdita, quel corpo a corpo con il passato che ci rende tutti dei sopravvissuti, ciascuno alla propria battaglia”. Dalla Storia collettiva si passerà dunque alle vicende esistenziali. In altre parole, dal fondale di ciò che ci viene imposto alle traiettorie individuali che siamo chiamati a tracciare. Destreggiandoci con mille difficoltà tra i condizionamenti di ciò che purtroppo non dipende da noi e quel po’ di bellezza e di armonia a cui, giustamente, non vorremmo rinunciare.