Il sole mi acceca mentre imbocco la A24 in direzione L’Aquila. È mattino presto, l’aria è fresca, il cielo terso di un azzurro leggero quasi tendente al bianco, tanto è lieve e discreto.
Un aereo in alto disegna tratti irregolari che lentamente si espandono e si contorcono in forme bizzarre mentre mi avvicino alle prime colline verso Castel Madama.
Percorro l’autostrada a velocità ridotta.
Voglio assaporare con calma il paesaggio mutevole che scorre al di là dei finestrini.
I rilievi sono dolci, coperti di un manto verde che riscalda e rincuora, la strada vi si addentra senza ferirli e si insinua lieve tra l’uno e l’altro, quasi accarezzandoli. Due gallerie e l’uscita per Vicovaro-Mandela.
Imbocco la SR5 in direzione Subiaco e mi sembra di entrare in una favola.
Piccoli banchi di nebbia assopiti a metà collina osservano il mio lento procedere, il profumo della campagna si fa pungente, la strada avanza zigzagando seguendo il corso dell’Aniene sulla destra, gruppi di uccelli in volo proiettano ombre veloci tra le cime irregolari a destra e sinistra della valle.
Improvvisamente, nascosto dalla nebbia, il bivio per Anticoli Corrado. Svolto a destra.
La strada si stringe e dopo un breve tratto rettilineo comincia a salire e a contorcersi come un serpente in cerca di un luogo assolato. Il paese sembra apparire dal nulla.
Avvolto in un manto di nebbia, mostra la rocca adagiata su un costone dei monti Ruffi.
Pare sospeso sul nulla. Poi, oltre una stretta curva, la nebbia si dilegua e la strada prosegue libera verso le prime case del borgo.
Più in basso, nella valle, il manto soffice di vapore separa Anticoli Corrado da Roviano che in pieno sole saluta il paese dirimpettaio con la fierezza del suo castello.
Lontano, più in alto, sulla destra, il borgo di Riofreddo segna il confine tra Lazio e Abruzzo.
Faccio sosta ad un vecchio fontanile dove sgorga un’acqua gelida e purissima.
L’aria frizzantina è una gioia per i polmoni e il panorama che si gode da qui rinfranca lo spirito e nutre i pensieri di linfa vitale. È questo il mio luogo. I suoi colori, il suo odore, la sua luce, i suoi silenzi sono dentro e fuori me.
Pochi metri e sono davanti l’antico portale da cui ha inizia via Maggiore.
Il rumore dei miei passi rimbalza sui muri in pietra delle case.
L’aria è immobile. Sono solo.
Salgo lentamente verso piazza delle Ville, il nucleo del paese, tra scorci di verde e di azzurro e stretti vicoli che si perdono più in basso.
Mi muovo felice di perdermi tra scalette, lampioncini, finestrelle, vasi di fiori, porte, portali, gatti sornioni sdraiati al sole, latrati di cani, lingue di luce improvvise da piccoli portici con il soffitto in legno che si allungano sul selciato quasi a volermi afferrare, in una girandola di sensazioni veloci e profonde che mi scuotono, mi colpiscono come frecce, mi trapassano senza che io possa o voglia fermare.
Salgo ancora.
Una piccola salita sulla sinistra mi invita ad andare.
Pochi metri e davanti ai miei occhi si apre la deliziosa piazza S. Vittoria, dove sorge il Museo di arte moderna. Non c’è un’anima. Da una fontanella zampilla acqua freschissima.
Non altro rumore, se non quello del mio respiro.
Abbasso la maniglia della piccola porta del museo ed entro.
Su un tavolino di legno sono posti in ordine dépliant e libricini.
Al di là del tavolo il custode mi guarda sorridendo senza parlare.
Gli chiedo se posso entrare e il costo d’ingresso.
“Due euro”, sussurra quasi vergognoso.
Prendo il portafoglio e rovisto dentro.
“Se non ce l’ha, non importa”, fa lui.
Ho l’irrefrenabile desiderio di dargli il quintuplo, ma mi trattengo.
I due euro sono nella mia mano e li deposito nella sua.
Lui mi indica l’inizio del percorso e aggiunge che ci sono anche due piani da visitare.
È un piccolo gioiello, il museo.
Ci sono opere, per lo più dipinti, dei vari pittori italiani e stranieri che hanno voluto mettere su tela luoghi e volti di questo paese.
Meraviglioso è il ritratto di Vittoria Ciaccia, modella anticolana, del pittore polacco Edward Okun che ha immortalato per sempre la bellezza e la fierezza di una delle tante splendide donne di Anticoli Corrado.
Dopo un breve giro nelle varie sale, torno sulla via Maggiore e sbuco su piazza delle Ville con la celebre fontana di Arturo Martini.
E a pochi metri, il forno della Signora M.
Lei è lì, sa del mio arrivo.
E lo sa anche anche la sua ineguagliabile, insuperabile crostata di visciole che mi saluta non appena entro.
È sempre al lavoro, la mia cara M.
Lei gestisce il forno, il marito la macelleria, il fratello le pecore.
Gente che lavora, gente vera.
“C’è una piccola aggiunta”, dice allungandomi una teglia calda dal peso stratosferico.
“I cannelloni di M. li vedi assaggiare, dottó. Un pensiero per il compleanno di sua moglie”.
E già, perchè oggi, in realtà, sono venuto appositamente per prendere la divina crostata con cui rendere felice la moglie nel giorno del suo compleanno.
Ma i cannelloni non erano previsti…
M. fa la faccia cattiva “I regali non si pagano!”
La mia protesta muore prima di raggiungere le corde vocali.
Non si discute quando M. fa quella faccia.
Si obbedisce. Punto.
Mi rimprovera pure perché non tengo la busta con la teglia in posizione orizzontale.
Ma come faccio? Nella mano destra ho la super crostata, nella sinistra il cannellone che dondola pericolosamente.
Alla fine si trova la soluzione ed esco dal forno mentre lo stomaco ride del mio incedere goffo lungo via Maggiore.
Entro in macchina.
Poggio i pacchi con delicatezza sul sedile posteriore.
Il profumo invade l’abitacolo.
Dolce, salato, tutto insieme.
L’auto pare un ristorante.
Mando un messaggio su WhatsApp al gruppo famiglia.
“Vi consiglio di essere tutti a pranzo a casa. Non chiedetemi altro”
E ora parto.
Mentre leggerete questo racconto io sarò sulla strada di casa.
Drogato di sapori.
Felice.
Pieno di Anticoli Corrado.
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