La nostra intervista al dottor Mauro Zaccarelli, infettivologo dell’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma sugli anticorpi monoclonali, una terapia che sembra promettente contro il Covid-19, anche se non priva di incertezze.
“Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi specifici derivati da pazienti che hanno superato l’infezione da Sars-coV-2 e clonati poi in laboratorio così da creare anticorpi parzialmente sintetici. Questi anticorpi sono in seguito in grado di bloccare la proteina Spike e quindi l’attacco del virus nei confronti delle cellule. Tanti studi li hanno già provati e hanno dato risultati incoraggianti ma non ancora definitivi. Sembrano i grado di rallentare l’infezione soprattutto nelle prime fasi, quando la carica virale è molto alta. Gli Usa hanno approvato due cocktail di anticorpi di questo tipo, Regeneron e Bamlanivimab.
in Italia sta partendo la prima sperimentazione su pazienti che hanno contratto l’infezione da poco, che non hanno problemi respiratori e non hanno la malattia ma sono ad alto rischio come pazienti anziani (over 65) o più giovani ma che hanno comorbidità che li mette a rischio.
Dato che la maggior parte dei pazienti che poi rischiano la terapia intensiva sono quelli più anziani o con diverse malattie a carico, ci concentriamo su questi. I ricercatori sperimenteranno questo farmaco allo Spallanzani ma anche in altri ospedali italiani, si chiama Bamlanivimab ed è un anticorpo specifico contro la proteina Spike. Ha dato risultati altalenanti negli Usa. Andrà usato nei pazienti ad alto rischio entro i primi 5 giorni di infezione, prima che arrivi la malattia: si pensa così di poter ridurre dell’80% il ricovero di questi pazienti.
I problemi degli anticorpi monoclonali. Il primo è l’alto costo. Il secondo il fatto che vengono usati su pazienti che ancora non hanno sviluppato la malattia e che potrebbero non svilupparla, quindi in questo caso il trattamento potrebbe essere superfluo. Nella percentuale che potrebbe peggiorare noi potremmo avere fino all’80% di ricoveri in meno. Un altro problema è che non funzionano con le varianti brasiliana e sud africana. Potrebbero stimolare il virus a mutare e quindi a sviluppare nuove varianti. Questo il rischio se li usassimo molto largamente. Si tratta quindi di una terapia momentanea da usare finché la maggior parte della popolazione non sarà vaccinata.
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