Categorie: Cronaca

Argentina: riconosciuto un altro figlio dei “desaparecidos”

Di: Mimmo Politanò

Certamente io non sarò mai un buon giornalista. Perché non sono freddo. Mi lascio prendere troppo dall’emozione. Seguo gli eventi più toccanti con le lacrime agli occhi e il singhiozzo nel cuore. Eppure non sono mai stato uno dalla lacrima facile. Anzi! La prima volta che piansi avevo appena appena quaranta anni. E mi accadde sulle montagne più alte della Basilicata, ascoltando dalla radio della mia macchina, ‘Santa Lucia’ nella sublime versione di Enrico Caruso.

Capisco, in ogni modo, che la storia del ritrovamento del nipote di Estela Carlotto, mi tocchi più intimamente di altri accadimenti, a causa dei miei vissuti argentini; per la mia partecipazione attiva contro i militari al servizio dei dittatori; perché pure io, sono una vittima in più (pur se fortunata) di quegli anni dolorosi; perché seguo dal 1978 las  madres y las abuelas de Plaza de Mayo, perché ho girato anche con loro; come i pazzi del quadro di Van Gogh, che giravano a cerchio. Perché pazze erano considerate quelle donne. ‘Las locas’ le definivano.

Ogni evento che riguarda quel periodo perciò deborda dal mio cuore. Non lo riesco a contenere. La rabbia che mi prende contro gli assassini è ancora molto forte. E la vicinanza emotiva alle famiglie di quei giovani assassinati perché ‘portatori sani’ di pensieri democratici e umanitari, mi commuove e coinvolge senza finzione.

Ho lottato contro i militari in Argentina dal 1975. Sì, un anno prima della data ‘ufficiale’ della nascita della dittatura: il 1976. Ma quelli che già nel 1968 sognavamo un mondo migliore, quelli che ci illudevamo di cambiarlo con una chitarra ed una canzone, non eravamo distratti per niente. Sapevamo già da allora che cosa si stava preparando per l’Uruguay del 1969 e del Chile e del resto del latinoamerica. Sapevamo che l’onnipotenza dei militari non teneva conto alcuno della vita umana. Sapevamo che gli USA tramite i suoi servizi segreti e politici privi di scrupoli, decidevano chi uccidere e chi mettere al potere delle nazioni; chi aveva il diritto di continuare a vivere e chi doveva morire, tra gli studenti e i lavoratori. In questo tipo di ‘occidente’ che faceva del ‘timore verso il comunismo’ l’essenza della propria battaglia ‘celatamente’ oligarchica e imperialista, molti hanno pagato con la vita la libertà di pensiero.

Bastava avere un jeans e la barba e la chitarra e parlare d’amore tra i popoli per essere prelevati con la forza e gettati in mare dagli aerei o essere torturati barbaramente, fino alla fine. La cosa peggiore di quel periodo è che quando lo parlavo a Radio Onda Sonora, a Radio Armonia, a Radio Grande Armonia Stereo, a Teleregione, a PTS, a GBR, a Telestudio61, eccetera eccetera, nessuno mi credeva. Questo era il più grande dolore. Che nessuno credeva a chi ne parlava. La frase ‘Algo habràn hecho’ (Qualcosa avranno fatto) rimbomba terribile nella mia mente.

Nella conferenza stampa del nipote ritrovato di Estela Carlotto, tenuta ieri in Argentina, l’emozione della gente era palese. “Buona sera. Io sono Ignacio, Pacho” ha esordito dopo problemi coi microfoni e lo spazio dell’incontro ‘invaso’ dai giornalisti e parenti delle famiglie Montoya e Carlotto, tenendo a specificare che preferiva mantenere il nome che gli aveva messo la sua famiglia adottiva; pur se Estela Carlotto, la sua nonna, lo chiamava Guido, da sempre. E c’è da capire Ignazio. Immaginiamo per un attimo un uomo che vive 36 anni con un nome un cognome ed una identità, in fondo che lo definisce nel suo ambito provinciale in cui è cresciuto? Quest’uomo d’improvviso, si trova catapultato sulle prime pagine dei media mondiali. Non deve essere facile reggere questa tensione. Nei suoi ultimi giorni egli ha sopportato un terremoto emotivo, un caos devastante, che gli ha frantumato il passato e gli impone ora, come un puzzle, di ricostruirsi con una nuova identità.  Ignacio Hurban che diventa Guido Carlotto- Montoya. O Guido Montoya-Carlotto. O Ignazio Montoya-Carlotto- Hurban! Bel problema.

Quando gli hanno chiesto come era iniziato il suo bisogno di conoscere, egli ha risposto: “Vi sono cose che non sai ma le sai e incominci a pensare e accorgerti, finché, come nel mio caso, arriva un indizio certo, e partendo da lì, cominci la ricerca. Nel mio caso è stato straordinariamente veloce. E anche questo lo voglio dire… Il processo di ricerca che inizia qualunque persona per indagare sulla propria identità, se ha dubbi o cose simili, è completamente riservato; salvo questa volta, nel mio caso, in cui la notizia è venuta fuori, non so a causa di chi (n.d.a: fa un segno verso Estela Carlotto e la gente ride) Va bè… sappiamo da chi è venuta fuori … e bene la notizia, sembra che sia molto importante… e sono stato nascosto in questi giorni, per poter arrivare prima all’incontro intimo, che era quello realmente importante e non tutto questo (n.d.a: la conferenza) che anche è importante… altrimenti perché siete venuti?  Ma io volevo prima conoscere loro prima di mostrarmi e di rispondere alle domande. Il processo di ricerca è straordinariamente comodo, molto rispettoso e rapido.” 

Alla giornalista Liliana Arias di Radio Nacional, che dice: “Diciotto giorni fa tu hai iniziato una ricerca. Molto poco tempo. Diciotto giorni per definire la tua identità. Che cos’era che rumoreggiava dentro te e che cosa fu a farti decidere di andare a ‘Abuelas’?  "Chissà sia un dubbio iniziato molto prima" – risponde Ignazio-Pacho-Guido – "Diciotto giorni fa ho fatto il prelievo, (nda: per il DNA) che è un’altra cosa. Vi sono cose che non si possono spiegare, cose che non finisci mai di capire. Io, rispondendo a una domanda, che sempre mi facevano nelle interviste quando facevo il musicista (n.d.a: lo fa ancora) chiedendomi da dove arrivava il mio amore e la mia passione per la musica… rispondevo che veramente io non lo sapevo. Perché nell’ambito in cui sono cresciuto…dove sono cresciuto molto bene… con una coppia che mi ha dato il maggiore degli amori… l’ambiente di questa famiglia mi destinava ad un’altra cosa… finire a fare un’altra cosa da quella cui uno era diretto naturalmente era uno dei ‘rumori’ che io sentivo. L’ho saputo, in ogni modo, due mesi fa. Il giorno del mio compleanno".  

L’intervista ha lasciato vedere un uomo simpatico, profondo e semplice. Consapevole di essere entrato nella Storia dell’Argentina e della responsabilità maggiore che questo comporta. Il viso di Ignazio e quello di Estela Carlotto sono identici. Questo evento farà riprendere vigore alla ricerca degli altri figli di ‘desaparecidos’.

Redazione

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