Cucina

Aria Restaurant, chef Paolo Barrale: il nuovo salotto gastronomico di Napoli

Continua la nostra passeggiata napoletana e dopo essere stati alla Taralleria Napoletana a Spaccanapoli ci dirigiamo verso il Polo Universitario Federico II. Siamo in via Loggia dei Pisani una traversa della trafficata via Depretis e per la prima volta incontreremo uno chef stellato a Napoli; siamo ad Aria Restaurant (1 stella Michelin), il nuovo salotto gastronomico di Napoli.

Lo chef Paolo Barrale, napoletano di adozione

Entriamo e la frenesia e il caos caratteristici della città sembrano solo un ricordo, il ristorante è elegante ma dalle linee essenziali, atmosfera intima, luci soffuse che illuminano esclusivamente i tavoli. Qui ci attende lo chef Paolo Barrale, siciliano di nascita ma campano di adozione. Dopo il diploma conseguito nell’Istituto Alberghiero di Cefalù (Pa) inizia il suo viaggio professionale fatto di prestigiose esperienze.

Tra le più significative sicuramente quella al ristorante La Pergola (3 stelle Michelin) al Rome Cavalieri sotto la guida dello Chef Heinz Beck e successivamente alla Torre del Saracino con Gennaro Esposito. Nel 2004 arriva in Campania a Sorbo Serpico (Av) a capo della cucina del Marennà, ristorante di Feudi di San Gregorio, dove conquista la sua prima stella Michelin nel 2008, e vi rimane fino al 2018. A giugno 2021, il Gruppo JCo apre Aria Restaurant e lo chef Barrale è chiamato alla guida della cucina conquistando la stella Michelin dopo soli cinque mesi dall’apertura.

Il viaggio verso Napoli

Buonasera chef, come arriva un siciliano a Napoli?

Dopo quattro anni a La Pergola di Roma, lo chef Heinz Beck mi disse che c’era l’opportunità per una sua consulenza qui in Campania, in quel periodo io avevo in mente di tornare in Sicilia per motivi personali e gli risposi di tenerci comunque in contatto per eventuali lavori futuri. Così tornai in Sicilia e feci un anno a Taormina per l’apertura di un hotel 5 stelle. Effettivamente Beck mi richiamò per propormi una nuova apertura, sempre in Campania, all’interno dell’azienda vinicola Feudi di San Gregorio nell’avellinese, per affiancare uno chef sempre da lui mandato.

Nonostante qualche remora andai lasciando comunque la valigia aperta convinto di andar via presto, invece dopo un anno lo chef con il quale avevo lavorato andò via e mi venne fatta la proposta di guidare la cucina di questo bellissimo ristorante immerso nella campagna avellinese, Marennà. Mi accorsi subito che ormai i giochi erano stati fatti e che non avrei potuto rifiutare. Così sono passati 14 anni, un’esperienza di vita molto bella ed intensa poi come in tutte le famiglie si decide di prendere altre strade e fare esperienze diverse.

Aria è arrivata quasi per caso, i proprietari erano miei clienti a Marennà ed un giorno mi dissero: “Paolo, abbiamo una nuova casa per te?” ed io: “Va bene, fatemela vedere!”, “No, è tutta da fare! Decidi tu come la vuoi!”, “No, è casa vostra a me basta fare la cucina!”. Abbiamo fatto una bella cucina, con un ampio spazio, senza macchinari da mille e una notte ma funzionali. Nel 2019 iniziano i lavori, la cucina venne montata a fine 2020 ed il 24 giugno 2021 abbiamo aperto. Nel frattempo, ne ho approfittato per girare il mondo ed aggiornarmi.

La cucina del territorio

Come si fa cucina gourmet in una città dove la cucina tradizionale è fortemente identitaria?

Un ristorante nato con l’idea di una cucina non avveniristica ma una cucina dove rispecchiare la volontà del popolo napoletano a cui piace stare bene a tavola ma anche guardandosi attorno. Quindi con dei rimandi alla tradizione partenopea ma guardando il mondo anche da altri angoli. A me piace sperimentare qualche sapore scoperto durante i miei viaggi ma facendo in modo che il cliente non si senta mai estraniato dal contesto in cui siamo.

E’ importante far capire che quando entri nel ristorante sei sempre a Napoli, magari con piazza Plebiscito dipinta sulle tazzine del caffè oppure la taiwanese che sa di pastiera napoletana o tante altre piccole cose che ci caratterizzano. Ovviamente, se il cliente vorrà un piatto della tradizione andrà a cercare quello ma se metto a tavola un piatto che ricordi la tradizione, è un piatto che cambia completamente i connotati ma che non deve farla rimpiangere.

Lei è siciliano, ha portato qualcosa della sua terra nella sua cucina?

Lo faccio spesso, anche perché mi è stato chiesto dai clienti! Ci sono delle cose di cui ti impadronisci negli anni, fanno parte di te e sai che possono piacere così trovi il modo di farle assaggiare! Magari con un’idea di arancina, una caponata… sempre nell’aperitivo oppure nella pasticceria. Voglio che ci sia questa presenza perché fa parte di me ma non deve diventare assoluta.

La cucina dello chef

Tornerebbe in Sicilia?

Ogni tanto lo faccio per qualche manifestazione ma ora sto bene qui, mi hanno dato una bella macchina da guidare e poi c’è la mia compagna.

Come descriverebbe la sua cucina?

Noi, oggi, facciamo due menù degustazione da 5 o 7 portate. La prima proposta si chiama “Aria di casa” legata alla tradizione campana mentre l’altro è un menù più esotico ma senza dimenticare il territorio e si chiama “Boccata d’Aria”. Tra i piatti che facciamo ci sono: gli scampi dell’Adriatico con latticello di mandorla e caviale oppure triglia con piselli e salsa al latte di cocco che ricorda la classica piselli panna e prosciutto, poi abbiamo un ramen fuori dalla “norma” a ricordare il tipico piatto meridionale.

La zuppa di miso diventa una melanzana affumicata, un pomodoro arrostito e poi della pasta di grano duro fatta da noi abbinata a un tofu di mandorla con pomodoro confit. Sono i sapori della tradizione locale con un occhio che guarda l’Oriente ma senza prodotti dell’Oriente. Si può scherzare con le parole raccontando la cucina internazionale ma mangiando prodotti del territorio. Come l’ostrica che viene proposta con ricotta e cicoli oppure il dolce ricotta e pere fatta con ricotta affumicata e pere accompagnate da un succo di pera fermentato.

Il fatto di non raccontare fino in fondo i nostri piatti è voluto. Ancora oggi c’è disagio in qualcuno nel cibarsi di ingredienti di cui non ha la piena conoscenza. Chi è abituato a mangiare sempre gli stessi piatti ha paura ad uscire dal seminato. Noi siamo qui per produrre cibo e accontentare la clientela che ha bisogno di essere accarezzata. Chi ha un ristorante fa un’attività di servizio e lavora per gli altri, non per se stesso! C’è chi cerca qualcosa di ancora più spinto ma avendo solo dieci tavoli si rischia di estraniare il resto della clientela.

Astice all’orientale

Gli ingredienti esotici della cucina di Chef Barrale

Nella sua cucina c’è anche qualcosa di orientale, cosa ama di questa cucina?

Più che orientale ci sono dei rimandi di cucina internazionale, forse per scarsa conoscenza ma tutti pensano che alcuni ingredienti vengano solamente dall’oriente. Ad esempio, il coriandolo lo usano anche in Perù o in Amazzonia, il curry viene anche dallo Sri Lanka o dalla Malesia e non solo dall’India. Noi abbiamo portato l’ostrica francese e l’abbiamo abbinata a ricotta e cicoli tipici prodotti napoletani.

Avete preso la stella Michelin al primo tentativo, lo stesso anno dell’apertura!

Si, abbiamo aperto a giugno e a novembre è arrivata la stella. La Michelin è sempre alla ricerca di posti che diano concretezza, io ho avuto la stella per 10 anni al Marennà ed è naturale che abbia informato la Michelin di questa nuova apertura ed è altrettanto naturale che loro mi seguano anche per rispetto verso il loro pubblico in maniera tale che sappia dei miei eventuali spostamenti.

Poi ha trovato il ristorante in linea con i parametri auspicabili per la stella e la stella è arrivata. Ovviamente c’è sempre chi sparla, gelosie di palazzo… è vero che ci sono anche ristoranti che pur lavorando bene impiegano più anni per essere premiati rispetto a chi è già conosciuto e quindi seguito costantemente.

Ramen fuori dalla Norma

Chiudiamo con una curiosità. Come mai il ristorante si chiama Aria?

Abbiamo creato il ristorante durante il Covid, quando tutti noi eravamo costretti in casa e quando abbiamo aperto, nel giugno 2021, ecco perché lo abbiamo chiamato Aria. C’era una grande voglia di uscire, una grande voglia di prendere aria, appunto.

Simone Pacifici

Nato a Tivoli (Rm) il 28/07/1977, narratore di enogastronomia per la passione ereditata dalla famiglia materna. Negli anni ha frequentato corsi di cucina, pasticceria, sala e giornalismo enogastronomico.

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