Art.5 comma 1-ter L.80/14: forti dubbi di costituzionalità

Il parere del dott. Rosario Caiazzo, Magistrato del Tribunale di Napoli

Con l’ordinanza 195 del 9 luglio 2014,  la Corte Costituzionale ha rimesso al giudice “a quo”  gli atti relativi a due ordinanze di rimessione alla Consulta del Tribunale di Napoli sul vecchio art. 3 commi 8 e 9 del D.lgs 23/2011, già dichiarato incostituzionale con sentenza 50/2014 della stessa Corte.

La restituzione degli atti si è resa necessaria per la recente introduzione dell’art. 5 comma 1-ter L.80/14 che ha, di fatto, reintrodotto, sia pure limitatamente nel tempo, gli effetti del suddetto incostituzionale art. 3.

La Corte ha quindi chiesto al Tribunale di Napoli se, ad oggi, dopo l’introduzione della nuova legge, permane il dubbio di costituzionalità posto con le due ordinanze precedenti e se la risoluzione di esso sia necessario per la definizione delle cause in corso.

Raggiungiamo telefonicamente il dott. Rosario Caiazzo, estensore dei due provvedimenti che hanno generato la recentissima ordinanza n.195 della Corte Costituzionale e che ora è chiamato a rispondere al quesito posto dalla Consulta.

Il Quotidiano del Lazio: Dott. Caiazzo, siamo di fronte ad una vera e propria contrapposizione di poteri dello Stato, magistrati-Corte Costituzionale contro Parlamento-Governo?

Dott. Caiazzo: Non credo, però ho notato una certa forzatura nel voler promulgare una legge nonostante il forte richiamo avanzato, in sede di preparazione dei lavori parlamentari relativi alla conversione in legge del decreto 47/2014 (piano casa Lupi), dalla Commissione affari costituzionali.

Quest’ultima aveva chiaramente avvertito che l’art 5 comma 1-ter, così come formulato e ripropositivo sostanzialmente della disciplina prevista dal D.lgs 23/2011, poneva dei seri dubbi di costituzionalità,  vista la recentissima sentenza n.50/2014 della Corte Costituzionale che tale disciplina aveva dichiarato incostituzionale, sia pure sotto il profilo dell’eccesso di delega del Governo.

Cionostante si è voluto, da parte del legislatore, licenziare ugualmente il testo dell’art. 5 comma 1-ter  prospettando l’orientamento, dottrinale e giurisprudenziale, relativo alla tematica dei “diritti quesiti”.

Secondo il mio parere questa prospettazione non è condivisibile in quanto, avendo il legislatore fatti salvi gli effetti giuridici delle norme contestate fino al 31.12.2015, di fatto ha disciplinato fattispecie future che, per detto motivo, esulano dalla tematica dei “diritti quesiti”.

Peraltro, il rapporto di locazione ad uso abitativo è un classico rapporto di durata che, nei casi di specie, non sono stati né sciolti, né estinti, né sono contraddistinti da prestazioni patrimoniali la cui esecuzione sia consolidata al punto di non poter essere più oggetto di pronuncia di incostituzionalità.

Sotto questo profilo, l’art. 5 comma 1-ter è chiaramente riproduttivo della normativa oggetto di incostituzionalità, spiegando la propria forza di legge a situazioni non ancora verificatesi; di conseguenza ci troviamo di fronte ad una palese violazione del “decisum” contemplato dalla sentenza n.50 della Corte, peraltro effettuata contraddicendo il parere della stessa Commissione affari costituzionali.

 

QDL:  Quali sono, se ci sono, le maggiori violazioni  del dettato costituzionale operate dalla nuova legge?

Dr. Caiazzo: Per i motivi che ho esposto prima,  la violazione che considero assorbente è quella dell’art. 136 e, cioè, la violazione del giudicato costituzionale.

Inoltre, a mio parere, l’art. 5 comma 1-ter è in contrasto anche con l’art.3 Cost. in quanto, avendo previsto una disciplina “di salvaguardia” con il limite temporale del 31.12.2015,  ha originato una sorta di “diritto speciale”  per il quale alcuni rapporti locativi ad uso abitativo vengono regolati, ratione temporis, secondo il d.lgs 23/2011 e tutti gli altri dalla normativa ordinaria.

E’ evidente che ascrivere al mero fatto temporale delle prestazioni contrattuali l’applicazione di una normativa differenziata configura una irragionevole disparità di trattamento rispetto a identici rapporti di locazione.

Ciò, poi, è tanto più vero, ove si pensi che la finalità preventiva e deterrente della sanzione “civilistica” per chi non avesse registrato il contratto nei termini di legge, non può dirsi più sussistente  non potendo essere correlata ad un termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la norma originaria.

Infine, l’art.5 comma 1-ter contrasta con l’art. 42  comma 2° Cost.  che prevede la funzione sociale della proprietà privata che deve essere accessibile a tutti.

E’ già stato più volte sottolineato che l’art. 3 comma 8 del D.lgs 23/2011- che di fatto è stato nuovamente introdotto- prevede una rilevante limitazione del diritto di proprietà immobiliare in contrasto col dettato costituzionale, in quanto non afferenti alla funzione sociale della proprietà.

Quest’ultima costituisce il criterio principale cui rapportare eventuali interventi legislativi diretti ad introdurre nell’ordinamento limiti e compressioni del diritto dominicale.

In altri termini il legislatore può limitare la proprietà privata solo in funzione delle esigenze della collettività e con un bilanciamento di interessi di rango costituzionale; non può in ogni caso tradursi in uno “svuotamento di rilevante entità” (Corte Cost. 55/68)

Peraltro, va sottolineato che, per il disposto dell’art.42 Cost.,  la limitazione della proprietà può operarsi solo ove  questa afferisca ad utilità che lo stesso diritto di proprietà assicura in ordine a doveri di solidarietà sociale o ad altri diritti di rilevanza costituzionale.

Nel caso di specie la normativa del D.Lgs 23/2011, costituendo di fatto una sanzione prevista con la finalità di apprestare un deterrente alla violazione della norma tributaria, costituisce una evidente compressione delle facoltà del proprietario relative al reddito da locazione e alla durata del contratto.

In questa ottica l’art.3 non costituisce certamente una compressione del diritto dominicale corrispondente a quella utilità sociale cui fa espresso riferimento l’art. 42 Cost.

La compressione del diritto di proprietà è altresì irragionevole perché può protrarsi per una durata anche di cinque anni, considerando il termine previsto del 31.12.2015.

QDL: Che seguito avrà l’ordinanza 195/2014 che Le ha restituito gli atti per verificare se ad oggi, in base alla nuova legge, sussiste ancora il dubbio di costituzionalità da Lei espresso  a suo tempo sull’art. 42 Cost.?

Dr. Caiazzo:  Il dubbio rimane attuale ed anzi  oggi è rafforzato anche dalla obiettiva violazione anche degli art. 136 e 3 della Costituzione per i motivi che ho espresso prima. Pertanto provvederò ad inviare nuovamente gli atti alla Corte perché si pronunci in merito a tutti i punti più sopra evidenziati.

Anche se l’intendimento non è quello di ingolfare i lavori della Corte, visto che ho già provveduto ad inviare pochi giorni fa altre due rimessioni per gli stessi motivi.

Essendo il problema realmente attuale, qui a Napoli, per evitare una valanga di rimessioni alla Corte contro la L.80/14,  si è deciso, nel caso di accordo sul punto, di rinviare le cause a dicembre di quest’anno in attesa delle decisioni  della Corte.

In conclusione, noi avvocati e operatori di diritto possiamo dire che molte volte il rimedio si dimostra peggiore del male iniziale. Questa nuova legge ne è la dimostrazione lampante.

La partita, quindi, è ancora aperta e la guerra, anche di nervi, tra proprietari ed inquilini vede prospettarsi un altro capitolo e solo un indovino può sapere come andrà a finire…

Avv. Paolo Cotronei

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