Opinioni

Artena, Centofanti: considerazioni su “L’anarchico che non uccise il Re”

Riceviamo e Pubblichiamo da Renato Centofanti:

Mi trovo ad esprimere alcune considerazioni, sulla presentazione del libro di Piero Proietti, “L’Anarchico che non uccise il Re”, avvenuta all’ex Granaio Borghese, sabato 6 ottobre.

Queste righe vogliono esprimere due situazioni diverse, una, relativa alla presentazione del libro di Proietti, quindi le emozioni suscitate dalle riflessioni dei relatori e dell’autore; l’altra, relativa ai giorni seguenti dopo aver letto il libro. Sono due momenti diversi e due suggestioni diverse.

Negli interventi ascoltati (di tutti, tranne l’introduzione di Lanna, essendo arrivato in ritardo, mi scuso di ciò), mi è sembrato ci fosse una certa supponenza nei confronti del periodo storico ai quali si riferiscono i fatti del tentativo di regicidio di Pietro Acciarito (nato ad Artena e poi andato a Roma con la famiglia in giovane età). Tutti gli intervenuti hanno messo l’accento sulle malefatte degli inquirenti per condurre Acciarito, a chiamare in causa i suoi compagni di attività politica, cercando di far emergere che l’attentato era frutto di un complotto e non un’azione individuale senza complici. E questo si è capito molto bene, anche perché, la ricostruzione della vicenda processuale delle deviazioni delle indagini, nel libro sono ben raccontate con dovizia di particolari.

Una cosa mi è sembrata fuori luogo, e in una ricostruzione storica non va fatta, è quella di fare paragoni con l’attualità politica e civile. Si è fatto riferimento spesso al fatto che molti protagonisti (negativi) degli anni di piombo, autori di omicidi, dopo alcuni anni di carcere sono in libertà e conducono una vita abbastanza normale. Al di là di come la si pensi su questi episodi, a me personalmente infastidisce che alcuni protagonisti di fatti sanguinosi non abbiano una reticenza ad essere intervistati, oppure, a dire la loro con troppa facilità, insomma, non si nota il peso dei loro gesti estremi, nel loro comportamento sociale, e questo lo trovo grave.

Detto questo, non si possono fare dei parallelismi del genere perché stiamo parlando di due epoche storiche lontane, e legislazioni, conoscenze antropologiche e criminologiche che non hanno niente a spartire, insomma due mondi diversi. Secondo me, andava ricreato quel periodo con un racconto che entrasse maggiormente nella vita dell’epoca, nella società, nei sogni di riscatto sociale, e perché il riscatto sociale spesso andava a braccetto con la violenza politica. Si poteva provare a mostrare perché, le teorie palingenetiche avevano forte presa su tante persone in condizioni povere e di estrema indigenza. Ecco, questo sarebbe stata una sfida teorica importante perché, contestualizzando gli eventi si possono capire le tensioni, le aspettative, il bisogno di uscire da una condizione insopportabile anche attraverso atti sanguinosi, ma questo come si può ben capire non afferisce solo a quel periodo storico, ma a molti contesti di insopportabilità della propria condizione di vita. Mi sarebbe piaciuto che i relatori avessero maggiormente dato peso e ricreato quell’atmosfera culturale e sociale del periodo, le ideologie e i fatti storici ( per la verità si è accennato a Bava Beccaris che fece sparare sui dimostranti), però, andava messo l’accento sul fermento rivoluzionario dell’epoca, l’ideologia anarchica spesso si contrapponeva con i socialisti e Marxisti, le vicende della I e II  Internazionale stanno li a testimoniarlo.

Insomma, per capire il perché di un gesto politico estremo, quale il regicidio per l’epoca, non basta stare in miseria e povertà, perché in miseria e povertà ce n’erano a milioni di persone; quello che fa la differenza di comportamento è quell’insieme di influssi, tensioni, sogni, velleità e ideologie che vivono tra le persone,  che a volte, ‘le prendono e le muovono’. Senza un ‘vento ideologico’ che può essere, di tipo politico o anche confusamente religioso che investe il pensiero e lo spirito delle persone,  difficilmente si compiono azioni terroristiche (cosi oggi le chiamiamo).

L’altra riflessione dopo aver letto il libro su Pietro Acciarito, e mi complimento (idealmente) con l’autore, per la Pietas con la quale segue e ricostruisce le vicende di quest’uomo che, indipendentemente dal tentativo di regicidio, la successiva fase di raggiri e macchinazioni degli inquirenti per ottenere confessioni e dimostrare un complotto politico degli anarchici, lo ha portato a subire schifose cattiverie e vessazioni morali. Questa parte del libro è utile e permette di riflettere sul potere, e va fatto, di come un sistema inquisitorio  può diventare pervasivo e distruggente. La massima riflessione moderna sul potere, sull’alone indistinguibile e onnipresente  del potere l’ha fatta Franz Kafka nel “Processo”, dove la minaccia del potere arriva non si sa da dove e perché, ma è li che incombe, e rende tutto vano e soggetto alle procedure del potere. Annichilendo la persona.  Proietti, ha scritto il libro con passione, e si  percepisce nella lettura, a momenti sembra emanciparsi dal saggio storico e alcune pagine assomigliano a una narrativa ben congegnata, ma, forse scarsa di un maggior protagonismo delle vicende umane di Pietro Acciarito. Ma questa è la mia richiesta di lettore che privilegia il sentimento, la vita con tutto il suo sedimento, alla ricostruzione storica a volte un po’ ammuffita. Ovviamente, necessaria.

Note a margine: Mi complimento con Piero Proietti per aver affrontato, questo fatto storico dove il protagonista di un gesto ‘complesso’ è un cittadino nato ad Artena, approfondire la questione è una scelta importante, comunque sia.

Guardando nei siti d’informazione online locali, non ho trovato una recensione dell’avvenimento, nessun posto dove si  desse risonanza all’evento e ai temi posti, questo mi sembra un cattivo modo di servire il frutto della riflessione, vorrei dire della cultura. Non mi va di criticare nessuno, ma, se si vuole che la cultura ( riflessione, pensiero, narrazione, rappresentazione di cose…, insomma l’anima del vivere) abbia un ruolo forte e trainante, va pensato tutto diversamente.

La presentazione che si fa all’ex Granaio Borghese, deve essere solo una parte dell’evento, che poi deve rifrangersi e diventare vivo nella maggior parte della cittadina.

Trovo azzardata l’ipotesi della dott.ssa Bucci, di proporre il libro per incontri con studenti delle elementari e medie di Artena;  il tema è alquanto delicato, inevitabilmente rientra nelle azioni di violenza politica e proporre argomenti del genere a ragazzi che arrivano al massimo a 14 anni, è arrischiato. Capisco l’entusiasmo di un amministratore, ma a volte bisogna riflettere un po’ e poi magari scegliere di fare.

Al netto delle note critiche, rendo omaggio sempre, a chi si impegna e organizza  attività di riflessione e pensiero.

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