Artena, Renato Centofanti a proposito de “Il Folle Volo”
Una riflessione sul libro presentato qualche settimana fa all’ex Granaio Borghese di Artena
Riceviamo e Pubblichiamo da Renato Centofanti:
Ho letto con piacere e d’un fiato “Il Folle Volo”, il libro presentato al Granaio Borghese di Artena qualche settimana fa, che raccoglie le conversazioni di Giorgio Colangeli (attore e conoscitore a memoria della ‘Commedia’) e Lucilio Santoni (scrittore), su Dante e la Divina Commedia.
Il carattere conversativo del libro è piacevole perché non mette a disagio il lettore, ma anzi lo stimola a pensarsi lui stesso li, a parlare della Divina Commedia, ecco, a me ha fatto questo effetto e per questo mi accingo a ‘conversare’ con gli autori, scrivendo delle riflessione su alcune cose dette, a volte approfondimenti altre sottolineature, altre ancora… vedremo cosa. La riflessione non segue in modo lineare lo sviluppo del libro, ma procede secondo gli stimoli avuti durante la lettura e la sedimentazione successiva, quindi non una recensione ma confronto con parti del discorso.
Nella trasmissione del sapere, si mette in relazione Dante e Ulisse, nel canto XXVI dell’inferno l’eroe omerico ci viene presentato con una fiammella che racconta le peripezie sue e dei compagni dopo la distruzione di Troia, realizzata con l’inganno. Forse, Dante lo mette tra i Fraudolenti per via della sua celebre astuzia ingannatrice più che per la sete di conoscenza, e forse nei celebri versi “ fatti non foste …” Dante mette in bocca a Ulisse le Sue convinzioni sul sapere e sulle virtù, che in fondo è anche l’amore per la poesia. Dante per molto tempo della sua vita ha messo davanti a tutto, i versi: “così ha tolto l’uno all’altro Guido/la gloria de la lingua; e forse è nato/chi l’uno e l’altro caccerà dal nido”. Qui è evidente il riferimento a Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti, amici fraterni del poeta e creatori insieme a Lui dello ‘Stilnovo’; ma è altrettanto evidente la convinzione di essere un poeta più grande di loro, che li supererà in gloria.
Giorgio, giustamente fa riferimento alla superbia, (hybris), al delirio di sé che porta alla perdizione, i due viaggi entrambi sembrano folli, ma Dante facendo perire Ulisse e i suoi compagni condanna un viaggio (folle) e fa continuare il Suo, insieme a Virgilio e poi a Beatrice. Quasi sicuramente Dante non conosce L’Odissea per intero e quindi non sa del ritorno in patria di Ulisse; è vero che la brama di curiosità, conoscenza e avventure è fortissima nell’eroe, ma i suoi naufragi dipendono dall’avversione di una divinità, Poseidone, a cui ha accecato il figlio Polifemo. Certo poi, durante questi rovesci del destino viene fuori l’uomo che cerca di conoscere altri mondi e l’ignoto. Non mi sento di concordare con l’ipotesi che Ulisse venga condannato perché non ha dietro di sé e non pensa a una comunità con la quale condividere le avventure e conoscenze, i naufragi e gli incontri straordinari che fa nel folle viaggio; quando raccolto, dopo un naufragio dove perde tutti i compagni, nel regno dei Feaci racconta la sua storia e piange, che cos’è se non una condivisione del proprio destino grande e amaro. Destino che è nelle mani degli dei dove la sua astuzia può molto poco. Ecco perché dico, ma lo ritengono molti studiosi di Dante, che non conoscesse L’Odissea come verrà conosciuta dopo.
Dante, come dice bene Giorgio, nella Commedia compendia un po’ tutto il sapere conosciuto fino al suo tempo, con una esposizione suggestiva e sublime, ma non ne fa un fine, è solo un mezzo per esaltare altro e ‘miscela’ in modo unico i grandi personaggi, le grandi teorie filosofiche medievali, le storie di battaglie con le piccole storie di Firenze, la vita delle strade, i bottegai, quindi inserisce nel ‘viaggio’ l’essenza del cristianesimo che è l’Umiltà – Giorgio questo aspetto lo coglie bene nel riferimento a Piccarda, semplice donna fiorentina – . Non dobbiamo mai dimenticare che Dante inizia il viaggio perché si era perso, aveva qualcosa o molto, da farsi perdonare o emendare come tutti noi che viviamo, aveva capito dentro di sé che tutta la gloria (passata da Guido a Guido poi a Lui) non bastava per la sua anima, aveva altri bisogni, aveva bisogno di Dio, mica poca cosa! Ovviamente il Viaggio di Dante é sublime perché la sua poesia é sublime, si incrocia un qualcosa che nella storia della letteratura é successa poche volte. Seguendo le impressioni della lettura, mi ha colpito quando Giorgio raccontando le sue ripassate a memoria della Commedia, si accorge che il significato delle parole dette é come se non lo capisse più, gli sfuggisse. Ecco dice, in quel vuoto di significato ci sarebbe lo spazio della manipolazione, la possibilità della manipolazione; penso che abbia ragione, probabilmente nel tempo dell’oralità, quando tutto il sapere si trasmetteva oralmente e in forma poetica, in quanto più facilmente memorizzabile, poteva e sicuramente sarà avvenuto, che vi fossero delle varianti al sapere raccontato; una specie di Wikipedia di 3000 anni fa. il mondo dell’oralità necessariamente era un fare collettivo e comunitario, molto di più di quello che possiamo supporre, non a caso il concetto di individuo i greci non lo contemplavano.
Mi interroga molto il ‘valore della parola’, come potrebbe essere diversamente? Le riflessioni di Lucilio e Giorgio, sui loro ricordi di ragazzi e le letture dense di sentimento attraverso ‘Cuore’ sono parte di molti di noi, ma direi che la letteratura in generale è una grande fonte di educazione del sentimento, leggere da ragazzi aiuta e sviluppa un’educazione sentimentale feconda.
Lucilio, parlando del potere della parola, mi riporta alla mente le parole di Gorgia dette in difesa di Elena, “ la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. Perché bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere”. Meglio di cosi non si poteva dire!
Su due aspetti voglio soffermarmi, uno: sulla Poesia, e l’altro lo accenno appena perché é un po’ il grande mistero della Commedia, come mai Dante non nomina mai l’amico, il maestro, la persona che più di tutti aveva in stima tanto da dedicargli l’opera “La Vita Nova”, e cioè Guido Cavalcanti.
Guido viene evocato nel Canto X dove, mentre Farinata e Dante si confrontano duramente sulle vicende politiche e guerresche della loro città, i due erano su fronti opposti, sentendo il confronto di alta tensione con parole alte tra i due, interviene un’ombra che chiede al poeta perché con Lui non ci fosse anche il figlio? Era il padre di Guido, Cavalcante Cavalcanti al quale non sembrava vero che Dante potesse affrontare un Viaggio di tale conoscenza senza il figlio, amico fraterno di Dante e considerato un grande poeta e un grande logico. Perché Dante nemmeno lo nomina, quasi lo ignora, non è che forse la sua ‘perdizione’ per la quale poi si mette in cammino per trascendere la conoscenza e la gloria poetica, ha a che fare con il suo rapporto stretto con Guido? E forse sarebbe il confronto più difficile, e perciò eviterà con cura un incontro diretto? Alcuni studiosi pensano che per Dante sarebbe stato difficile un confronto con l’amico col quale aveva condiviso le dissolutezze giovanili, le ambizioni politiche e la filosofia epicurea, insomma un compagno che era stato anche un esempio letterario e filosofico. Dante ha evitato di confrontarsi, ma lo ha condannato lo stesso dicendo a Cavalcante che il figlio, ‘non aveva avuto in considerazione colui, (o colei?)che lo guidava’. Si riferiva a Virgilio o invece a Beatrice? Le opinioni degli studiosi sono divise, ma è importante che la persona più vicina a Dante non ci sia, se non con una evocazione. E’ una rottura radicale e totale con la memoria dell’amico oppure ha voluto evitare al compagno di gioventù le sofferenze dell’inferno? Resterà un mistero.
La Poesia, cos’è la poesia? Platone diceva che la poesia è pericolosa, è una manìa, i poeti sono dei pazzi che andrebbero cacciati dalla città. Un giudizio cosi duro da parte di Platone è problematico, ma forse può aiutarci a capire qualcosa della poesia. Perché è pericolosa ed è una forma di invasamento, e i poeti sono dei pazzi? Forse perché, la poesia essendo un discorso con metro, come dice anche Gorgia, sfugge all’ordine naturale-lineare del discorso, non è assimilabile al discorso della polis, non é subito comprensibile e quindi é possibile di oscurità o troppa luce abbagliante, insomma é un dire che non si lascia addomesticare perché non domestico.
È un dire che assomiglia alla mistica, più che frutto della ragione è espressione di altro, altro che poi usa la ragione, la forma metrica svolge un ruolo importante ma è un supporto formale della poesia che è ‘produzione di senso, suono e risonanza’. La parola della poesia ha poco significato e molto senso, i significati sono molteplici quindi poco comprensibili mentre il senso risuona, vibra si allarga e si collega con le profondità (mistiche) dell’anima o psiche. Forse Platone in parte aveva visto bene, la poesia è pericolosa perché tende a essere insidiosa per l’ordine costituito che sempre ha bisogno di un discorso lineare e chiaro e per quello ci vogliono i filosofi; i poeti invece cercano altro, la risonanza e l’eco, le profondità e le vette, la parola che vibra e suona è una parola ma è anche altro e in ciò sta la poesia, la sua pericolosità e grandezza.
In conclusione viene detto bene che ‘l’enigma di stare al mondo è ancora al di la dall’essere conosciuto’, ma il Viaggio di Dante é sublime per l’esperienza intellettuale e il piacere poetico, per l’invenzione delle immagini quasi cinematografiche e la filosofia di Tommaso che è la nervatura teologica della Commedia. Per quanto riguarda il nostro viaggio di uomini, i naufragi e gli approdi sono parte dell’essere al mondo, ma, chi non spera in una Beatrice che ci prende per mano e ci conduce verso la ‘Grazia ‘.
N.B. Ringrazio Rita e Stefano che, avendo la cura di portarmi il libro da leggere – avendo in comune l’amore per la poesia – mi hanno permesso di ‘conversare’ su temi e versi che danno senso al nostro viaggio.