M’è rimasto impresso è un modo di dire condiviso. Una delle operazioni degne di nota per le realtà locali è tenere documentata la memoria della propria identità. E se i giovani del luogo si attivano finché questo possa esistere, raccogliendo quante più testimonianze in racconti spontanei registrati, allora si potrà dire che si lavora per un vero e proprio documento importante, una fonte di storia locale.
M’è rimasto impresso rappresenta un diario di comunità degno dell’attenzione collettiva. Si potrebbe fare ogni 5 anni una fotografia della popolazione intervistando campioni di popolazione rappresentativi di ogni fascia d’età e di provenienza. In questo libro ci si ritrova, si ritrovano cose e fatti che ci appartengono e altre che potrebbero essere aggiunte. Gli artenesi sono orgogliosi della propria Artena e se invitati a fare qualcosa di bello sono i primi a partecipare, lo testimonia l’accoglienza riservata agli autori da tutti.
L’ultima volta che qualcuno ha fatto un lavoro simile è stato Stefano Serangeli, i cui volumi raccolgono una quantità monumentale di fatti, persone, cose e usi civici. Leggerli fa conoscere uno spaccato particolare del paese senza una narrazione raffinata ma una fotografia nuda e cruda di ciò che accadeva con la differenza che il punto di vista era il suo e non plurimo.
Il contenuto del testo è da leggere tutto con interesse: ben confezionato, ben organizzato e ben condotto contiene curiosità e le interviste sono lasciate spontanee.
“Abbiamo deciso di realizzare questo lavoro per aprire una discussione profonda sul modo di raccontare i territori che viviamo. Crediamo che attraverso le storie di vita sia possibile raccontare la storia di una città, di una comunità. Un’opzione storiografica che secondo noi, permette di illuminare aspetti rimasti nell’ombra, punti di vista inediti e racconti che spesso restano soltanto nelle mura domestiche e che invece possono avere una dimensione pubblica,” lo affermano Alessandro Coltré, diploma di laurea in lingue e culture straniere con indirizzo slavistico e Chiara Chimisso, antropologa e docente di lettere nelle scuole superiori.
Sì, ragazzi avete confezionato un bel lavoro, interessante da leggere per gli artenesi, per gli studiosi di storiografie locali, dialettologia ed etnografia. Il motivo è nel fatto che è fonte spontanea di una memoria collettiva che contiene l’identità di un luogo.
Alessandro mi racconta che M’è rimasto impresso è un lavoro che “amplifica le voci di chi ha partecipato alle lotte contadine per ottenere la terra della famiglia Borghese, le voci di chi custodisce una geografia fatta di pozzi e fontanili che non esistono più; sono racconti che intrecciano la grande storia con episodi e aneddoti che hanno tanto da dire su Artena e sul territorio di oggi”.
Non è affatto facile ‘scrivere quasi la stessa cosa’ ed è necessaria una scelta ma la scelta non sarà mai autentica; è uno scrivere che restituisce la vitalità degli incontri e cerca di mantenere anche esitazioni, botta e risposta tra intervistatori e intervistati, ma ha la difficoltà di un’oralità comunque snaturata. Le sfumature del parlato trascritto contengono ‘correzioni’ forzose e ci sono molti cambi di registro a rendere più difficile. Voler mantenere il dialetto non è possibile se non con l’uso di una trascodifica fonematica. Le interviste prossime saranno preparate in modo tecnico per fare parlare di altri cento aspetti di vita quotidiana.
Un plauso grande a un lavoro finalmente nuovo e diverso. Infine auguriamo che si continui e si realizzi un bel gruppo di lavoro con l’attenzione e il supporto del Comune prossimo venturo.
Presentazione Sabato 23 ottobre ore 17,30 – Ex Granaio Borghese.
“M’è rimasto impresso”, voci di Artena per un quaderno di comunità a cura di Alessandro Coltré e Chiara Chimisso con interventi di Bruno Bonomi, Mino Massimei e Valentina De Santis.
Regole per l’accesso del pubblico in sala: mascherina e green pass.
Nunzia Latini
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