Negli ultimi 10 anni, in Italia, il numero degli artigiani titolari, soci e collaboratori iscritti all’Inps è diminuito di quasi 300 mila unità. La causa principale per l’ufficio studi Cgia di Mestre è soprattutto il ricambio generazionale e la concorrenza della grande distribuzione, specialmente quella online. Si trovano sempre meno calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, impagliatori, orafi, orologiai, restauratori, sarti, tipografi e vetrai.
“La carenza di manodopera è diventato uno dei maggiori problemi per le nostre imprese. Siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori“, sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli, aggiungendo “nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del made in Italy. Ecco perché il dibattito su salario minimo e lavoro povero deve allargarsi ad affrontare con urgenza il vero problema del Paese: la creazione di lavoro di qualità”.
Nel cuore della vecchia Roma resistono ancora alcune isole fuori dal tempo. Come via dei Cappellari che conserva l’atmosfera di un borgo antico, dove gli artigiani lavorano ancora in strada ed i rumori si mescolano alle voci, gli odori di vernici e olii alla brezza mattutina, mentre clacson e traffico sono poco più in là.
Tra le cause di difficile reperimento, per il 32,4% dei lavoratori è dovuto alla mancanza di candidati e il 10,8% all’inadeguata preparazione dei candidati. Per questo, le piccole imprese reagiscono intensificando le collaborazioni con gli istituti tecnici e professionali, l’utilizzo di stage, tirocini, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Inoltre, all’aumento delle retribuzioni, affiancano l’offerta di pacchetti di welfare aziendale, flessibilità dell’orario di lavoro, l’utilizzo dello smart working, interventi per migliorare il clima aziendale e il comfort dei luoghi di lavoro.
Nella classifica delle regioni con difficoltà a trovare lavoratori la Regione Lazio è ultima. La migliore delle peggiori verrebbe da dire con “solo” il 40.8% di aziende in difficoltà.
Ecco la classifica completa stilata da Confartigianato:
Trentino Alto Adige 61,6 %, Valle D’Aosta 57,1 %, Umbria 54,6 %, Friuli Venezia Giulia 53,3 %, Emilia-Romagna 52,7%, Piemonte 52,0 %, Veneto 51,4 %, Marche 49,7 %, Liguria 49,6%, Toscana 49,5%, Abruzzo 49,1 %, Lombardia 47,6 %, Calabria 46,5%, Sardegna 46,0 %, Basilicata 45,6 %, Molise 45,5 %, Sicilia 43,0 %, Puglia 42,2 %, Campania 41,9 %, Lazio 40,8%.
A risolvere in parte il problema sono gli immigrati, arrivati per mare o per terra da posti remoti, se prima erano principalmente badanti o lavoratori dei campi, oggi il settore della manodopera attinge a piene mani dall’immigrazione per compensare la carenza di personale.
Le storie sono tante e sono spesso, purtroppo tutte uguali. L’artigiano è un anziano che non saprebbe che fare se non facesse il suo antico mestiere. Non trova un apprendista cui trasmettere le sue conoscenze. Nessun giovane italiano è disposto a fare dei sacrifici per lavorare senza orari. Così succede che i giovani artigiani siano sempre più tra gli immigrati. Sait Dursun ha meno di 40 anni, è in Italia dal 2002, e con le sue mani, la sua pazienza e il suo tempo crea giocattoli partendo dal legno abbandonato, che trova tra i rifiuti. Recupera vecchi mobili, tavole, cassette della frutta, che l’abbondanza e la nostra civiltà fanno accumulare accanto ai cassonetti. Ha imparato il mestiere sotto le bombe in un villaggio del Kursdistan turco, ai piedi del Monte Ararat.
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