Categorie: Opinioni

“Atac: la rivoluzione disattesa”, di Massimiliano Valeriani

L’Amministrazione Raggi ha sottovalutato la situazione di Atac per oltre un anno: un arco di tempo che ha visto il cambio di 5 manager alla guida dell’azienda, senza che venisse mai elaborato alcun piano industriale. Ora la Giunta Cinquestelle ha deciso di abdicare alle sue responsabilità politiche per affidare ad un tribunale il futuro della società di trasporto pubblico e dei suoi lavoratori. Con la scelta del concordato preventivo, infatti, saranno l’Advisor tecnico e il giudice a predisporre, accettare e monitorare il piano di rientro, in un sottile equilibrio di tempi e procedure che al minimo ostacolo rischia di far precipitare il progetto di risanamento in modo irreversibile. Questo perché è la prima volta che si ricorre a tale strumento per un’azienda di grandi dimensioni: non ci sono casi di giurisprudenza e il confronto con quanto avvenuto a Livorno per la società di gestione dei rifiuti è semplicemente improponibile.

Dal 1993 al 2007 le amministrazioni capitoline di centrosinistra avevano garantito una continuità del management delle società municipalizzate, i bilanci venivano chiusi in attivo e i livelli di produzione dei servizi di trasporto aumentavano costantemente. In particolare, dal 2000 al 2007 il personale di Trambus era diminuito di 1.000 unità con un risparmio di 478 milioni di euro per il costo delle risorse umane, mentre i chilometri di servizio erogati erano circa 116 milioni contro i 90 milioni di km attuali. Nell’ultimo decennio, invece, abbiamo assistito ad un decadimento del sistema della mobilità collettiva, con pesanti inefficienze ed estese criticità gestionali, oltre ad forte indebitamento, che nel 2013 aveva già raggiunto la cifra di un miliardo di euro, con una spesa elevata per la gestione del personale e una rilevante riduzione del trasporto pubblico nella città di Roma.

Adesso la sindaca Raggi ha cercato una rischiosa scorciatoia, scegliendo la via del concordato preventivo: un salto nel buio avviato senza il parere positivo degli organi di controllo di Atac e senza una delibera dell’Assemblea capitolina. Condizioni avverse che potrebbero mettere in dubbio l’esito della procedura. Prima di percorrere questa strada, sarebbe stato più opportuno convocare in Campidoglio i principali creditori dell’azienda per ricontrattare il debito e stabilire modalità di pagamento puntuali con l’obiettivo di ricostruire un rapporto di fiducia tra Atac e le imprese dell’indotto.

Sarebbe stato più opportuno procedere con il piano di valorizzazione e alienazione del patrimonio immobiliare aziendale non più strumentale al servizio di linea per recuperare centinaia di milioni di euro. Ma l’Amministrazione Pentastellata non ha promosso alcuna procedura per il cambio di destinazione d’uso degli immobili, che al contrario restano un costo gravoso, in termini di manutenzione e sicurezza, per le casse della società.

Sarebbe stato più opportuno, in oltre un anno di governo della città, procedere alla elaborazione di un piano industriale e di un programma di rientro per garantire un percorso di risanamento serio e sostenibile per Atac. Sarebbe stato più opportuno coinvolgere sin dall’inizio le organizzazioni sindacali nel progetto di ristrutturazione aziendale, evitando di chiudersi in una stanza e farsi imporre la strategia da Milano.

La scelta del concordato preventivo porta con se la necessità di prorogare il Contratto di Servizio in house, almeno per tutta la durata del programma di rientro e del piano industriale. Una scelta politica che potrebbe determinare una riduzione intorno al 15% dei contributi del Fondo nazionale per il trasporto pubblico di Roma. Insieme alla svalutazione del credito di circa 430 milioni di euro che il Comune vantava nei confronti di Atac, quindi, si avrebbe una notevole diminuzione di risorse che dovrà essere poi compensata, in una fase in cui le istituzioni già faticano a far quadrare i bilanci.

Il referendum sulla liberalizzazione del trasporto pubblico di Roma proposto dai Radicali, infine, è stata un’iniziativa di corto respiro, una proposta sbagliata nel merito e nel metodo, che ha solo fatto perdere tempo e distolto l’attenzione verso soluzioni più adeguate e sostenibili.

Altre strade infatti sarebbero state percorribili, ma è mancata la volontà politica e la capacità amministrativa del M5S per poterle seguire. Anche la Cotral quattro anni fa era sull’orlo del fallimento, mentre oggi l’azienda regionale chiude il bilancio con un utile di oltre 8 milioni di euro, i conti economici sono in ordine ed è stato rinnovato il parco mezzi con la fornitura di oltre 400 nuovi bus, che hanno permesso di garantire maggiore efficienza e qualità ai pendolari del Lazio. Cotral rappresenta una sfida vinta: è una società sana e competitiva, guidata da manager capaci e senza intromissioni della politica. Ora è pronta ad affrontare con successo la gara per la gestione del servizio di trasporto extraurbano nel 2019.

In questi anni abbiamo diminuito il numero delle società partecipate, tagliato le poltrone e investito ingenti risorse per dare una nuova prospettiva al sistema della mobilità collettiva. Tutto questo senza ridurre un solo posto di lavoro o ricorrere a cassaintegrazione e contratti di solidarietà, dimostrando che cambiare è possibile: anche le aziende pubbliche possono fornire prestazioni convincenti e vantare bilanci positivi grazie ad una attenta e corretta collaborazione fra istituzioni, management e sindacati.

Atac rappresenta la storia della città ed è un patrimonio per le migliaia di lavoratori e per i milioni di utenti che ogni giorno si muovono con i mezzi pubblici. Il cambiamento richiede impegno ed energie per essere raggiunto: il concordato preventivo rappresenta una scommessa, piena di incognite ed ostacoli difficili da prevedere e da superare. Al contrario la politica dovrebbe garantire alla società le condizioni migliori per operare, con l’obiettivo di tornare a fornire un servizio di trasporto efficiente e di qualità alla capitale del Paese.

Sono state fatte promesse effimere ai dipendenti dell’azienda e ai cittadini, una rivoluzione annunciata e mai avviata, capace solo di generare uno stallo amministrativo che ha ingessato la città e mortificato ogni aspettativa di cambiamento. La rivoluzione delle chiacchiere e delle speranze disattese.

 

* Massimiliano Valeriani, Capogruppo PD alla Regione Lazio

Redazione

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