Ieri sera concerto all'Auditorium di Roma del duo Herbie Hancock e Wayne Shorter: una ghiotta occasione (pensavo) di vedere all'opera due mostri sacri del jazz. Il primo, grande virtuoso del pianoforte e autore di alcuni fra i più significativi brani di jazz moderno; il secondo, talentuoso sassofonista testimone e protagonista della migliore era davisiana e grande ispiratore delle fortune dei Weather Report…
E invece succede quello che non ti aspetti: Hancock per metà del tempo alle prese con una tastiera elettronica a ricercare improbabili sonorità siderali che facessero da sottofondo alle note lancinanti del collega; Shorter alla parossistica ricerca, con il sax, di sonorità impossibili…
Non una sequenza armonica, non un tema riconoscibile, unicamente gargarismi sonori in trance solipsistica. Eppure le possibilità di offrire alla platea un repertorio più clemente c'erano tutte, viste le precedenti collaborazioni, in situazioni acustiche piano e sax, di Shorter con Michel Petrucciani e la mirabile fusione di Hancock con il sax di Dexter Gordon nel film "'Round midnight" di Tavernier. E invece niente…
Risultato: già dopo i primi due brani (ma qualcuno ha notato la differenza fra le due esecuzioni?) alcuni spettatori hanno abbandonato la platea.
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