È in programma per il prossimo 14 giugno il convegno “La questione dell’autismo: aspetti diagnostici ed epidemiologici”, organizzato dall’Università ‘La Sapienza’, dall’Osservatorio Oisma e dall’Istituto di Ortofonologia (IdO), che si svolgerà presso l’aula Cesare Gerin del dipartimento di Medicina sociale de l’Università ‘La Sapienza’ (Piazza Aldo Moro 5), a Roma.
Per l’occasione, il neuropsichiatra infantile (nonché direttore dell’Unità Complessa di Salute mentale dell’età evolutiva della Asl Roma 3) Enrico Nonnis riassumerà in pillole gli ultimi dati sulla patologia, che purtroppo appaiono come allarmanti: “C’è un’escalation preoccupante delle diagnosi di autismo non solo in Italia ma anche all’estero. Assistiamo a una maggiore sensibilizzazione rispetto alle diagnosi con strumenti diagnostici più attendibili, ma negli Stati Uniti alcune ricerche affidabili parlano di numeri inquietanti” ha riportato in questi giorni all’Agenzia Dire.
Eh già, perché secondo le informazioni contenute nel primo studio pilota di prevalenza dell’autismo in ambito europeo (ricerca ASDEU, Autism Spectrum Disorder in European Union) e nello studio dell’Istituto Superiore di Sanità condotto al Nord, al Centro e al Sud Italia, negli ultimi 40 anni i casi di autismo sarebbero aumentati vertiginosamente: si sarebbe infatti passati da “un soggetto autistico ogni 5 mila persone negli anni ’70 ad uno ogni 110 oggi” afferma Nonnis. E nei maschi “l’incremento è maggiore perché l’incidenza è di 4 ad 1 rispetto al genere femminile”.
Fortunatamente la diagnosi è sempre più precoce: “Prima veniva effettuata a 3-5 anni, adesso si riesce a farla in maniera attendibile dai 18 mesi di vita. Bisogna, in ogni caso, stare attenti ad avere una visione clinica accurata e a prendersi il tempo necessario per la valutazione ed il monitoraggio”.
Per ciò che concerne il trattamento della malattia, diversa da individuo a individuo, Nonnis ci tiene a sottolineare che anche se la sua genesi inizia durante la gestazione, “quando si arriva ad avere una diagnosi all’età di un anno e mezzo la situazione è già avviata e l’intervento non potrà intervenire sulle cause dell’autismo, ma se precoce e intensivo potrà ridurrà i sintomi ‘core’ del disturbo (isolamento e bassa cognitività) e la cascata sintomatologica secondaria che aggrava la condizione autistica. Proporre programmi terapeutici intensivi di 40 ore la settimana, che le strutture pubbliche non offrono porta le famiglie a sostenere alti costi. Sarebbe più opportuno utilizzare, almeno a livello prescolare, ciò che già esiste a livello nazionale: gli educatori aggiuntivi negli asili nido, gli insegnanti di sostegno e gli educatori nella scuola dell’infanzia (personale pagato dal Miur e dagli enti locali) per attuare programmi terapeutici sostenibili. Gli operatori della scuola potrebbero essere supervisionati da psicoterapeuti esperti nel trattamento dell’autismo, ed attuare, sotto la loro guida, metodi terapeutici per obiettivi. In tal modo si realizzerebbe quell’intervento precoce ed intensivo auspicato e raccomandato da tutte le linee guida nazionali ed internazionali”.
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