Il business era fiorente, nel suo genere, e muoveva parecchi milioni di euro. Oltre a essere fiorente, però, era anche truffaldino. E parecchio ramificato.
L’organizzazione, come riferisce il Comando provinciale della Guardia di Finanza, operava tra la Capitale e i Castelli Romani, attraverso una fitta rete di società fantasma (le cosiddette ‘cartiere’). Per mezzo di questi soggetti fittizi, si era creato un enorme giro di fatture false, in modo da importare automobili di grossa cilindrata, frodare l’IVA e accrescere di molto i margini di profitto ottenuti dalla cessione delle vetture. Da un lato si toglievano risorse al fisco, dall’altro si danneggiavano i rivenditori onesti in spregio alle normali regole della concorrenza.
Le cifre, come accennato in apertura, sono davvero ingenti. Complessivamente, tra le decine di imprese coinvolte e operanti su tutto il territorio nazionale, si parla di oltre 600 milioni di euro. Solo le fatture per operazioni inesistenti ammontano a 60 milioni di euro di imponibile, con un’IVA evasa per oltre 14 milioni.
Nell’ambito dell’operazione, che ha assunto il nome in codice di ‘Need for Speed II’ e che è stata condotta dai Finanzieri della Compagnia di Velletri, sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica, non sono mancati gli arresti e i sequestri. Sette persone sono finite ai domiciliari, mentre altre quindici sono state denunciate a piede libero, e il valore dei beni confiscati, sia mobili sia immobili, ammonta a 14 milioni di euro.
Le investigazioni hanno preso il via dalle verifiche fiscali su alcune concessionarie automobilistiche che si sono rivelate esistenti solo sulla carta, per poi svilupparsi attraverso le intercettazioni telefoniche e sulla base di un’accurata ricostruzione di movimenti finanziari e passaggi societari. Ciò che è emerso è un sodalizio tutt’altro che improvvisato.
I soggetti, che in alcuni casi erano legati da amicizie di vecchia data e che provenivano dal medesimo quartiere di Roma, cambiavano continuamente le schede telefoniche, oppure ne usavano di intestate a persone ignare dei traffici in corso, e si erano anche dotati di un linguaggio in codice. ‘Fare la velina’, per esempio, significava compilare un bonifico per poi annullarlo entro ventiquattro ore.
Accanto al nucleo principale c’era altresì una vasta rete di altre persone coinvolte a vario titolo (imprenditori, prestanome, faccendieri, commercialisti, società italiane ed estere, consulenti finanziari, avvocati) e questo, come già in altri casi analoghi, induce a chiedersi come potessero pensare di farla franca all’infinito.
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