Autostrade. Nuovi tutor in nome della sicurezza: per chi ci crede
Il totale dei tratti sorvegliati sale a 33, sulle diverse autostrade. Nel Lazio se ne aggiungono due
Altri tutor in arrivo, sulle autostrade italiane. E già quel nome, tutor, dovrebbe darci fastidio: perché è un miscuglio di ipocrisia e di autoritarismo.
L’ipocrisia di chi dice, o sottintende, “ma lo faccio per te, per aiutarti a non sbagliare, per incentivarti ad andare più piano e a ridurre, perciò, il rischio di incidenti”. L’autoritarismo di chi si avvinghia a una logica ultra semplificata che gli permette di intervenire là dove è più facile farlo e dove, una volta che si siano impiantati i dispositivi, diventa tutto pressoché automatico. Dopo di che, un po’ ci si pavoneggia ergendosi a custodi della pubblica incolumità, e un po’ ci si specula sopra, incassando i denari delle multe.
Certo: le vittime della strada diminuiscono, abbassando la velocità massima, ma questo non significa che la causa principale dei sinistri sia questa. E significa ancora meno che il limite imposto identifichi davvero la soglia al di là della quale la sicurezza è compromessa.
La questione è molto più ampia. E molto più complessa. La pericolosità dipende da una serie di fattori diversi, che per un verso riguardano il guidatore e il suo veicolo, e per l’altro la situazione esterna.
Non dovrebbe neanche esserci bisogno di sottolinearlo: un ottimo pilota, su un ottimo mezzo, su una strada in condizioni ottimali per aderenza, visibilità e scarsità di traffico, può tranquillamente permettersi di salire a velocità anche parecchio al di sopra dei valori prefissati. Il cui difetto cruciale è appunto questo: che loro sono rigidi, mentre le circostanze reali non lo sono.
Cinquanta chilometri all’ora possono essere una follia o un’inezia, a seconda dei casi. E se è vero che i duecento e oltre sono impensabili per un patentato standard che viaggi su un’auto mediocre, non lo sono affatto per chi abbia una perizia di livello superiore e una macchina all’altezza.
Si rischia l’effetto Catalano, a insistere. Ma quando si legge che hanno ritirato la patente a dei corridori di Formula Uno come Giancarlo Fisichella e Jean Alesi, “rei” di viaggiare intorno ai 150, per non trovarlo ridicolo bisogna essere maledettamente ottusi o maledettamente legalitari. O un miscuglio di entrambi.
Autostrade col tutor. Oppure dei cittadini adulti
Immaginate i due piatti di una bilancia: sul primo ci mettiamo il sedicente “toccasana” in versione tutor, con i limiti di velocità stabiliti chissà come e i relativi controlli automatici; sul secondo, invece, gli altri comportamenti che in base alle rilevazioni Istat sul 2017 sono le cause principali degli incidenti stradali.
Allora: in cima alla lista c’è la distrazione. E in cima alla lista delle distrazioni ci sono i cellulari e affini (e almeno su questo non serve scomodare l’Istat: basta guardarsi intorno). Dopo la distrazione c’è il non essersi attenuti ai segnali semaforici o alle regole di precedenza. Dopo ancora c’è la velocità eccessiva. E non lontano da quest’ultima c’è il mancato rispetto della distanza di sicurezza.
Tirando le somme, dunque, alla base di tutto c’è che non si presta la dovuta attenzione. Ossia, che non ci si concentra a dovere. Ovvero, che non si è capaci di farlo con la necessaria assiduità.
Aggiungiamoci che moltissime patenti sono del tutto immeritate – ma concesse, evidentemente, un po’ per far vendere più automobili, e un po’ perché i mezzi pubblici rendono proibitivo rinunciare a un veicolo privato – e siamo pronti per arrivare alle conclusioni.
Il vero tutor di cui ci sarebbe bisogno non è quello autostradale che ti inchioda se superi i fatidici 130 chilometri all’ora, fosse pure mentre viaggi su tre corsie in un mattino di sole e senza quasi nessuno intorno.
Il tutor di cui si sente la mancanza è parecchio più articolato e molto, molto, molto più intelligente: è uno stile di vita che ci renda davvero adulti. E quindi capaci di compiere sempre mirabolanti imprese come fermarsi a un semaforo rosso, non stare appiccicati alla macchina che ci precede, e persino – benché ci appaia incredibile – resistere all’ennesimo richiamo dello smartphone.