Nell’ambito della salute mentale, il legame tra psichiatria e magistratura è sempre stato intrinsecamente complesso. Tale relazione ha richiesto, e continua a richiedere, un’esplorazione approfondita e sensibile delle sfide emergenti, particolarmente in relazione alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e all’attuazione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), entrambe finalizzate ad adeguarsi alle nuove normative sulla sicurezza.
La pratica psichiatrica, strettamente legata alla neurologia fin dalle sue origini, ha subito l’influenza di una visione positivistica che la correlava direttamente con la pericolosità sociale. Tale concezione è stata rafforzata dalla legge del 1904, rimasta in vigore fino al 1978, accentuando l’impegno dei magistrati a disporre l’internamento psichiatrico come misura preventiva di controllo sociale.
Il processo di deistituzionalizzazione seguito alla chiusura dei manicomi, segnato dalla Legge 180 e dalla Legge 81/2014, ha posto le basi per la creazione delle REMS, sostituendo così la funzione degli OPG. Nonostante ciò, numerosi nodi rimangono da sciogliere e si palesa la necessità di una cooperazione sinergica tra magistratura e psichiatria, che sposi un approccio contemporaneamente etico e scientificamente avanzato.
Nonostante i progressi, la cultura dominante e i media ripropongono spesso vecchi preconcetti sulla pericolosità sociale dei malati mentali, rischiando di indurre un modello retrogrado di istituzionalizzazione. L’approccio attuale, inoltre, non sembra adeguato a rispondere alle reali necessità di cura e riabilitazione delle persone affette da disturbi mentali, specie quando implicano questioni penali.
Il doppio binario, concetto radicato nella dottrina positivistica, separa il soggetto delinquente dalla sua capacità di autodeterminazione, considerandolo intrinsecamente pericoloso. Ciò ha portato alla negazione pratica dell’imputabilità e alla necessità di rivedere tali presupposti alla luce di un contesto giuridico più attuale e umanistico.
Di fronte a tali sfide, si impone una riforma interpretativa che vada oltre il doppio binario, riconsiderando il concetto di imputabilità e offrendo alternative valide alla detenzione, specialmente per coloro che soffrono di disturbi psichiatrici.
Emergono dubbi sulla pertinenza del carcere come ambiente terapeutico per i detenuti con patologie psichiatriche. L’adeguatezza di tali luoghi per l’opportunità di cura diventa una questione centrale, richiedendo un sistema di gestione sanitaria efficace e umanizzante.
Il Decreto Legge n. 14 del 20 febbraio 2017 introduce il Daspo urbano come misura per mitigare violazioni dell’ordine e sicurezza pubblica in ambito urbano.
È una competenza del sindaco e si tratta di un provvedimento amministrativo: in sintesi, il sindaco, o autorità equivalente (il questore), è investito del potere di emettere ordinanze di allontanamento nei confronti di individui ritenuti una minaccia, o responsabili di atti lesivi della quiete pubblica, del decoro urbano e della sicurezza cittadina, incluse le fasce minorili.
Il Daspo urbano rientra in una strategia preventiva per la salvaguardia dell’integrità pubblica e privata. L’adozione di tale strumento, però, solleva interrogativi riguardanti l’equilibrio tra sicurezza e diritti costituzionali.
La sua attuazione deve essere proporzionale e cautelare nei confronti delle libertà individuali, includendo adeguate garanzie processuali e possibilità di impugnazione, con ricorso gerarchico improprio al prefetto entro 30 giorni, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni o al Tar con ricorso giurisdizionale entro 60 giorni.
La misura si applica a soggetti coinvolti in azioni di disturbo sociale, causando disagio e paura nella comunità. L’allontanamento dovrebbe essere riservato a casi di comprovato pericolo per la sicurezza pubblica, previa segnalazione dei cittadini e accertamenti da parte delle autorità.
È cruciale che l’implementazione del Daspo urbano proceda di pari passo con un’analisi scrupolosa dei casi individuali, tenendo conto di potenziali bisogni di supporto sociale e psicologico, specialmente per persone in condizioni di fragilità. Contemporaneamente, è imperativo assicurare che la sicurezza collettiva non subisca pregiudizi.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) in Italia è regolato dalla Legge 180/1978, nota anche come Legge Basaglia, dal nome del suo principale promotore. Questo strumento legale consente l’ospitalizzazione forzata di un individuo che soffre di disturbi mentali e rifiuta il trattamento, ma solo se rappresenta un pericolo concreto e attuale per sé o per gli altri.
Protezione della Comunità e del Paziente: Il TSO può prevenire danni gravi a persone che non sono in grado di intendere o di volere a causa di un grave stato di disagio psichico.
Intervento in Emergenza: Fornisce uno strumento rapido ed efficace per intervenire in situazioni di emergenza in cui il soggetto può costituire un rischio immediato.
Diritto alla Cura: Garantisce il diritto alla salute mentale anche a quei pazienti che, a causa del loro stato psichiatrico, non sono consapevoli della necessità di cura.
Garanzie Legali: Il TSO si fonda su procedure ben definite che richiedono l’intervento in tempi brevissimi del giudice tutelare e il rispetto dei diritti fondamentali del paziente.
Riabilitazione e Integrazione Sociale: Insieme al TSO, il sistema sanitario italiano si impegna nella riabilitazione e reintegrazione sociale del paziente.
Libertà Personale: Il TSO implica una limitazione significativa della libertà personale e può essere vissuto dal paziente come un trauma.
Rischio di Stigmatizzazione: La procedura può incrementare la stigmatizzazione sociale verso le persone con disturbi mentali.
Applicazione Non Uniforme: Esistono disparità nell’applicazione del TSO sul territorio nazionale, a volte per la soggettività nella valutazione del “pericolo concreto e attuale”.
Supporto Post-TSO: Può mancare un adeguato follow-up post-TSO, sia in termini di supporto terapeutico sia di assistenza sociale.
Durata del TSO: Il periodo di ospedalizzazione forzata può risultare più lungo del necessario a causa di ritardi nel processo di valutazione o nella disponibilità di posti letto, con trattenimento del paziente di fatto nel pronto soccorso, spesso legato a una barella.
Consenso Informato e Coinvolgimento del Paziente: La procedura può talvolta non lasciare spazio sufficiente al consenso informato e al coinvolgimento attivo del paziente nelle decisioni riguardanti la sua salute.
La valutazione del TSO deve considerare attentamente sia le esigenze di cura e protezione del singolo individuo sia i principi di libertà e dignità che sono alla base dell’ordinamento giuridico italiano.
Inutilità dell’amministrazione di sostegno per fronteggiare tali situazioni
L’amministratore di sostegno in Italia è una figura introdotta per assistere, rappresentare o amministrare i beni di una persona che si trova, temporaneamente o permanentemente, in uno stato di incapacità, fisica o psichica, di agire in autonomia, come stabilito dall’articolo 404 e seguenti del Codice Civile.
L’amministratore di sostegno non può obbligare il beneficiario ad accettare trattamenti sanitari contro la sua volontà, se la persona è capace di intendere e di volere in relazione a quella specifica decisione. L’incapacità deve essere accertata e specifica per l’ambito di decisione relativo alla salute. La legge italiana pone un forte accento sul rispetto della libertà individuale e sull’autodeterminazione della persona, anche nel contesto di una limitata capacità di agire.
Se il beneficiario non è in grado di provvedere ai propri interessi per una specifica questione legata alla salute, e ciò è documentato e validato dall’autorità giudiziaria, l’amministratore di sostegno può prendere decisioni nell’interesse del beneficiario, anche in merito alle cure mediche. Per i malati psichiatrici con doppia diagnosi (malattia psichiatrica e abuso di sostanze), è praticamente impossibile distinguere se l’opposizione alle cure del paziente sia inconsapevole, sicché di regola l’amministratore di sostegno non può intervenire.
Le decisioni riguardanti interventi medici non urgenti e che comportano un certo livello di rischio o effetti significativi sulla salute richiedono comunque, solitamente, il coinvolgimento del giudice tutelare. Tuttavia, neanche il giudice tutelare può obbligare alle cure. Questo per garantire la libertà dei diritti dell’individuo e in applicazione dei principi di necessità e proporzionalità, nonché del benessere e della volontà del beneficiario, per quanto possibile accertare.
Per interventi medici urgenti e necessari per salvaguardare la vita o evitare significativi danni alla salute, l’amministratore di sostegno può autorizzare il trattamento medico senza il consenso del beneficiario, ma queste situazioni sono eccezionali e devono essere poi ratificate o validate dal giudice tutelare.
La chiusura degli OPG segna solo l’inizio di una riforma più ampia che necessita di essere condotta a termine. L’obiettivo è di garantire il rispetto della dignità personale e di sviluppare un sistema che armonizzi la sicurezza con l’assistenza e la riabilitazione.
I rimedi contro gli agiti violenti dei malati sono pertanto soltanto il TSO e il DASPO. È fondamentale avviare una riflessione globale e promuovere un cambio culturale per superare gli stereotipi, garantendo trattamenti e riabilitazioni adeguate e non punitive per i malati di mente, nell’ottica di una giustizia che sia realmente terapeutica e inclusiva.
(Avvocato Carlo Affinito)
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