Banda albanese sui Fratelli Bianchi: “spacciano droga a casa nostra (ai Castelli Romani), magari a pizzicarli, quei cessi veri”
I fratelli di Artena non hanno ricevuto un’accoglienza amichevole nelle mura di Rebibbia, anzi hanno rischiato la propria incolumità
Intercettazioni telefoniche disposte a carico di un criminale albanese a capo di uno spietato gruppo di malviventi hanno rivelato importanti dettagli sul conto dei Fratelli Bianchi, noti per essere accusati dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne di Paliano (Fr) che la notte tra il 5 e il 6 settembre scorsi, a Colleferro, fu brutalmente picchiato a morte dal branco per avere difeso un amico.
Marco e Gabriele Bianchi sono rinchiusi nel penitenziario di Rebibbia a Roma, in particolare sono nel braccio G9 del primo piano del carcere romano, il settore dove sono reclusi anche i pedofili, i collaboratori di giustizia, gli assassini e gli stupratori di donne e bambini. In poche parole sarebbero gli infami, secondo il gergo carcerario, comunque i meno graditi al resto della popolazione carceraria.
I fratelli di Artena (Rm) non hanno ricevuto un’accoglienza amichevole nelle mura di Rebibbia, anzi hanno rischiato la propria incolumità. Gli insulti, gli sputi, le minacce giunte al loro indirizzo, forse, alla luce del contenuto delle ultime intercettazioni telefoniche, sono la diretta conseguenza di un ordine arrivato ai detenuti da fuori.
Avere la nomèa di esecutori materiali del barbaro omicidio dell’innocente e indifeso Willy non è un biglietto da visita dei migliori nelle patrie galere. Detenuti come loro devono essere protetti anche dagli altri carcerati. “Quelli si faranno una brutta galera”, è stata la voce ricorrente nei giorni dell’arresto dei Fratelli Bianchi.
Tornando alle intercettazioni telefoniche sull’utenza del boss albanese, le conversazioni o i messaggi acquisiti riportavano chiaramente la seguente frase: “Stanno al G9, magari a pizzicarli”, dicono ad un certo punto gli indagati, pensando di raggiungere i Bianchi attraverso la complicità di un detenuto rinchiuso nello stesso penitenziario.
La circostanza viene fuori dai nuovi atti depositati dai pubblici ministeri di Roma nel procedimento a carico della banda albanese che ha cercato di dominare le piazze di spaccio tra Prenestino, litorale Pontino, i Castelli Romani, Velletri e dintorni.
Marco e Gabriele Bianchi sono finiti nel mirino degli albanesi da quando la banda criminale ha saputo di “un’operazione di polizia nei confronti di soggetti dei Castelli Romani, e in particolare nei confronti di due fratelli, i Bianchi, coinvolti nell’omicidio del giovane Willy Monteiro Duarte”, scrivono i Carabinieri nell’informativa dell’indagine Aquila Azzurra, come riporta “La Repubblica”.
Il capo del gruppo albanese non tollera che altri vendano droga nella sua zona, ai Castelli Romani. E “invita un suo scagnozzo a informarsi sulle persone che sono state tratte in arresto e che spacciavano droga a ‘casa loro'”, scrivono nelle loro indagini gli uomini del Nucleo Investigativo dell’Arma dei Carabinieri.
“Vedi mpò chi so ste spie di merda che spacciavano a casa nostra”, ordina in modo perentorio il capo. E gli esecutori di ordini al suo servizio commentano in una intercettazione: “Mamma mia quei daun de Colleferro hanno fatto i danni a colori co quel ragazzino che hanno ammazzato”. E in un altro stralcio della registrazione telefonica: “Stanno al G9 primo piano” (riferito al carcere di Rebibbia).
“Gia? sti cessi infami (…), si hai visto tutte foto da coatti (…), sti schifosi”, infine uno dei desiderata del gruppo: “Magari a pizzicarli quei cessi veri”. Per realizzarlo – riferisce “La Repubblica” – hanno già pensato a un nome: “Poesse che stanno co … (un altro detenuto)”, dicono i sodali del gruppo criminale prima di raccontare la fine fatta fare all’ultima persona che avevano deciso di punire.