Lo scorso 23 Gennaio 2019, l’onorevole Giuditta Pini del Partito Democratico ha presentato un disegno di legge alla Camera dei deputati che ha fatto discutere molto le parti politiche ma anche l’opinione pubblica: l’introduzione di un codice identificativo per le Forze dell’ordine.
La proposta di legge è stata poi assegnata alla Prima Commissione permanente Affari Costituzionali della Camera il 15 Ottobre.
Il testo della proposta di legge parla di “disposizioni in materia di identificazione del personale delle Forze di polizia in servizio di ordine pubblico e di applicazione di microtelecamere alle uniformi”. Il testo inoltre sottolinea che le responsabilità in materia di sicurezza della polizia, devono essere corrisposte con “strumenti adeguati per la tutela dei cittadini da eventuali abusi del diritto che occasionalmente si potrebbero verificare”.
La proposta dem fa un implicito riferimento ai fatti del G8 di Genova del 2001, una ferita ancora aperta per lo Stato e la democrazia italiana. In quell’occasione nacquero dei forti e violenti scontri fra le forze dell’ordine e i manifestanti.
In seguito lo Stato italiano è stato condannato più volte in sede civile per gli abusi commessi dalle forze dell’ordine. A carico di alcuni funzionari di Polizia sono stati inoltre aperti dei procedimenti penali, sempre per abuso di potere e violenza.
Moltissimi di questi procedimenti a carico degli agenti di Polizia furono annullati nel corso degli anni, soprattutto perché non c’era modo di indentificare personalmente gli agenti responsabili di tale violenza.
Storica, inoltre, è stata la sentenza del 2015 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha dichiarato come in Italia, durante gli scontri del G8, sia stato violato l’articolo 3 sul divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. La sentenza della Corte Europea fa riferimento in particolar modo alla tragica vicenda della scuola Diaz, dove di notte fecero irruzione i reparti della Celere della Polizia di Stato picchiando violentemente le persone che stavano dormendo nella scuola, credendo fossero Black Bloc.
A tal proposito l’onorevole Pini afferma che “il caso che rappresenta il maggior vulnus al rapporto fra opinione pubblica e forze di polizia rimane certamente quello di Genova nel 2001 in occasione del Vertice G8. Si ritiene, dunque, necessaria una normativa che renda più semplice l’identificazione del personale delle forze di polizia tramite appositi strumenti”.
La proposta di legge dell’onorevole Pini fa riferimento anche all’utilizzo delle bodycam, cioè microtelecamere applicate sulla divisa di ogni poliziotto che filmano continuamente le azioni delle forze dell’ordine e delle persone fermate per ogni tipo di controllo.
Leggendo il testo della proposta di legge, possiamo individuare 5 punti fondamentali: l’obbligo per le forze dell’ordine di indossare la divisa durante le azioni di tutela dell’ordine pubblico (ad esempio le manifestazioni); l’obbligo di avere sul casco o sulla divisa un codice indentificativo; l’obbligo di indossare una bodycam; il divieto per le forze dell’ordine in borghese di indossare indumenti che possano identificarlo come un giornalista, un medico o un vigile del fuoco; la copertura finanziaria necessaria.
Dopo che la proposta di legge è stat depositata, si sono subito levate le reazioni politiche, spesso polemiche. Il capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari Costituzionali della Camera, cioè Francesco Paolo Sisto, ha definito il decreto di legge come “il peggior concentrato di tutti i pregiudizi di sinistra contro chi tutela la sicurezza collettiva rischiando la propria vita”.
Sisto accusa quindi il Partito Democratico di voler “tappezzare caschi e divise con un codice identificativo” con il rischio che i manifestanti violenti o malintenzionati possano riconoscere facilmente l’agente e quindi mettere in pericolo la sicurezza delle forza dell’ordine.
Non si è fatta attendere la risposta dell’onorevole Pini alle parole di Sisto: secondo la firmataria della proposta di legge, Sisto non ha letto veramente la proposta perché non è previsto un codice fisso per ogni agente ma un codice variabile ad ogni manifestazione, proprio per garantire la sicurezza della Forze dell’ordine.
Inoltre, afferma la dem Pini, “a tutela del poliziotto abbiamo ascoltato i sindacati della polizia e abbiamo inserito che la polizia debba indossare le bodycam che filmano il punto di vista della polizia in modo che gli stessi poliziotti possano difendersi da accuse infondate”.
E’ dal 2011, cioè 10 anni dopo i fatti del G8 di Genova, che Amnesty International Italia si occupa della questione e si batte per i codici indentificativ delle forze dell’ordine.
Quando era ancora in carica il governo a guida Movimento 5 Stelle – Lega, Amensty International aveva fatto un appello al Ministro degli Interni Matteo Salvini e al capo della Polizia Franco Gabrielli. Non solo l’appello era rimasto inascoltato, ma l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini aveva dichiarato: “il mio obiettivo non è mettere il numero sui caschi dei poliziotti, che sono già abbastanza facilmente bersagli dei delinquenti anche senza il numero in testa”.
Proprio per evitare che episodi di violenza commessi dagli agenti possano diventare sempre di più all’ordine del giorno, moltissimi stati europei hanno approvato leggi che sanciscono l’obbligo per i poliziotti di indossare un codice identificativo durante manifestazioni, assemblee, scontri di piazza.
Una normativa di questo tipo è presente 20 paesi su 28 dell’Unione Europea, ad esempio in Belgio, Francia, Regno Unito, Spagna, Germania, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Estonia, Irlanda, Malta, Slovenia. Tutti questi stati europei concordano sul fatto che un codice identificativo sia un deterrente contro l’abuso di potere delle forze dell’ordine, ma anche una sicurezza in più per la Polizia stessa visto che permette di identificare anche manifestanti violenti.
Nel 2012 è stato il Parlamento Europeo ad esprimere preoccupazione per il dilagare delle violenze da parte delle forze dell’ordine e a esortare gli stati europei a dotare le forze dell’ordine di un codice identificativo.
Lo stesso appello è arrivato anche nel 2016 dal Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite: i funzionari delle forze di polizia devono essere chiaramente e individualmente identificabili, esponendo una targa con il nome o un numero.
Le escalation di violenza durante le manifestazioni o gli scontri in piazza, sono un fenomeno ormai presente in tutto il territorio italiano. La politica non può più ignorare la questione, soprattutto dopo i fatti del G8 nel 2001.
E’ necessario che il Parlamento legiferi per porre rimedio alla questione, nell’interesse di entrambe le parti: per la tutela dei diritti umani dei manifestanti, contro i reati di tortura e abuso di potere; ma anche per la tutela delle forze dell’ordine contro accuse ingiustificate da parte di manifestanti violenti.
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