C'è stato il periodo dei Caronte, i Lucifero, gli Hannibal, gli infernali nomi per descrivere i temuti anticicloni che imperversano soprattutto tra tarda primavera ed estate. E nella rincorsa al nome più catastrofista, si è scatenata anche una meteo-guerra tra i diversi siti di meteorologia a loro volta accusati di meteo-terrorismo dalle associazioni di albergatori.
Poi, si è scatenata la moda delle 'bombe d'acqua', altra espressione mutuata dal linguaggio bellico che ormai i giornalisti amano usare per qualsiasi manifestazione piovasca di eccezionale intensità. Tecnicamente, il termine non esiste, rappresenta una libera interpretazione dell'inglese cloudburst (letteralmente "esplosione di nuvola"), usato quando la quantità di pioggia caduta supera i 30 millimetri all'ora, o – secondo altri climatologi – quando le precipitazioni superano i 50 millimetri nell'arco di due ore.
Una volta, si parlava di nubifragio e già questa parola incuteva un certo timore. Ora che si evoca una bomba, seppur d'acqua, sensazionalismo e effetto-panico vanno a braccetto.
Raccontano i meglio informati che l'espressione 'bomba d'acqua' venne coniata da una giornalista del quotidiano La Nazione di Firenze nel settembre 2003, in occasione del nubifragio che colpì la provincia di Carrara. Ma solo dal 2013 in poi è entrata nel linguaggio comune e ormai usata con sempre maggior frequenza per qualsiasi fenomeno fuori dal normale.
Chi appoggia il termine sosterrà che la 'bomba d'acqua' spesso si lascia dietro una scia di spaventosi danni e talvolta anche di vittime che il ricorso a un termine tutt'altro che pacifico appare più che giustificato. In giorni dove però si ricorda con commozione quel tragico evento chiamato Prima Guerra Mondiale, spostare le bombe da una zona bellica al terreno del meteo sembra un pericoloso azzardo linguistico.
Sosteneva correttamente Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton che l'uso di questo neologismo è "ipocrita, è come dare la colpa all'Altissimo. Sposta il problema lontano, è un inutile e dannoso gioco di parole per schivare responsabilità". Se ricorro al termine bomba "cerco di attribuire colpe all'eccezionalità della situazione" quando invece "il dissesto è figlio delle nostre decisioni, di una politica del territorio inadeguata" (Corriere delle Alpi, 15 ottobre 2014).
Giusto, ma vano. La "Bomba d'acqua" si è ormai abbattuta sulla nostra lingua come le intense pioggie che evoca si abbattono sul nostro territorio. Tant'è che il vocabolario Treccani l'ha inclusa tra i neologismi del 2014.
Troppo tardi dunque per sperare che finisca pian piano nel dimenticatoio. Lasciando all'arte della licenza linguistica un solo tipo di bomba, quella alla crema, responsabile, se proprio vogliamo, di un solo pericolo concreto: il nostro giro vita!
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