Boris Johnson, il cavaliere oscuro che l’Inghilterra non merita ma ne ha bisogno
Alcuni Governi, come il Conte-bis, nascono genuflessi alla Ue. Altri, come quello britannico, provano a rispettare il mandato ricevuto dagli elettori
Ci sono Governi che nascono in ginocchio, genuflessi fin dai primissimi vagiti all’Europa franco-tedesca dei burocrati e delle élites. Tipo il Conte-bis, creato a immagine e somiglianza di una casta che rispetta la volontà del popolo solo quando questo vota in accordo con i propri desiderata.
E poi ci sono esecutivi che sorgono da esigenze diverse, avvertite dagli elettori che, in una vera democrazia, sono gli unici depositari della sovranità. Esecutivi che vengono alla luce con la schiena dritta, e dritta tengono la barra anche di fronte agli ostacoli frapposti dalla Ue, dai media eternamente proni e dai poteri forti euroinomani. Tipo i Governi nati nel Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit – e in particolare l’ultimo, guidato da Boris Johnson.
Lo chiamano il “Trump britannico”, l’ex sindaco di Londra, e in effetti con il Presidente U.S.A. ha molto in comune, a partire dalla somiglianza estetica e dalla posizione critica (per usare un eufemismo) sull’Unione Europea. Anche BoJo può piacere o non piacere – e di solito non piace per gli stessi motivi per cui viene denigrato The Donald: nazionalista, allergico al politically correct, contraddistinto da uno stile comunicativo spesso giudicato eccessivo. Ma ha anche dei difetti, naturalmente.
Come il tycoon americano, Johnson è stato accusato di aver oltrepassato le prerogative della propria funzione, in occasione dell’annunciata sospensione del Parlamento. Peccato che il blocco, già avallato dalla Regina Elisabetta II, sia stato poi giudicato legittimo anche da due tribunali, uno scozzese e uno londinese. “Tanto rumore per nulla”, verrebbe da commentare, visto il contesto, citando Shakespeare.
La cessazione dei lavori rompe certamente le uova nel paniere all’opposizione laburista – e anche a quella interna -, fortemente impegnata nel tentativo di scongiurare un’uscita dall’Europa senza accordo. Tentativo che, in realtà, potrebbe essere del tutto pretestuoso, dal momento che, se anche fosse approvata la legge anti-no deal, non è affatto scontato che Bruxelles accetterebbe di rinegoziare i termini dell’addio di Londra. Resta in ballo l’ipotesi di elezioni anticipate, che potrebbero regalare all’inquilino di Downing Street una maggioranza più solida e più incline ad assecondarne la visione – e il mandato ricevuto dagli elettori.
In fondo è questa la grande differenza tra Johnson e i suoi immediati predecessori. Theresa May, per dire, era probabilmente la Premier che i britannici meritavano, ma non quello di cui avevano davvero bisogno. BoJo invece no, BoJo forse non è il leader che l’Inghilterra merita, ma è quello di cui ha bisogno.
E così, mentre l’Italia assiste alla farsa del presidente Pd Paolo Gentiloni che, indicato come commissario europeo da Giuseppe Conte in spregio a ogni criterio di buonsenso, va a prostrarsi in spregio a ogni criterio di buonsenso di fronte alla presidente eletta della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la Gran Bretagna rifiuta di piegarsi. A conferma che a un BisConte dimezzato è sempre preferibile un Johnson tutto d’un pezzo. Anche se fosse un cavaliere oscuro.