Abbiamo appena finito di raccontare le vicende di Mimmo Lucano dopo aver assistito alla costituzione in carcere dell’ex governatore Scopelliti quando si affaccia all’onore delle cronache anche l’attuale Presidente Oliverio; tutto sempre condito dalla presenza della ‘ndrangheta, con il clan di turno appartenente al territorio in cui i fatti si svolgono, che non attribuisce un colore diverso a quanto, di volta in volta, viene contestato al politico di turno.
Questa volta tocca al governatore del PD Mario Oliverio, già presidente della provincia di Cosenza, che nel suo fare disinvolto si è trovato invischiato in una delle tante vicende che, ormai, sono il cuore pulsante della Calabria; la linfa vitale di questa regione sempre più isolata e desolata, in fondo, non è la presenza dei clan mafiosi che pur attribuiscono una connotazione particolare, bensì la presenza di una classe politica, da decenni costituita dagli stessi personaggi, che ha fatto della cosa pubblica una vera e propria proprietà privata.
Lo abbiamo visto con Lucano che gestiva il discorso immigrati, al di là della condivisione del suo “ideale” o pseudo ideale che si può avere; lo abbiamo visto con i politici che lo hanno preceduto ma anche con quelli a lui contemporanei. “Questa società italiana appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c'è una corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana”; le parole di Bobbio, tra i maggiori teorici del diritto e filosofi della politica, rendono l’idea di ciò che è divenuta la politica e quanto gira attorno ad essa, ad iniziare dai colletti bianchi della pubblica amministrazione, nella società in cui viviamo e in una delle regioni più arretrate dell’UE.
Eppure si continua imperterriti, inesorabili, senza pudore, senza timore, senza etica, senza onestà pubblica o personale, ad impoverire e affondare un terra che nulla ha più da offrire ad intere generazioni di giovani e meno giovani. Le opportunità lavorative, di crescita personale e professionale, di arricchimento sociale, di evoluzione culturale e collettiva, vengono continuamente vanificate tanto da spingere migliaia di professionisti di ogni età a evadere allontanandosi da un sistema così corrotto da essere anche superiore a qualsiasi fiction che si voglia portare sugli schermi televisivi. L’intreccio tra istituzioni, mafia, massoneria e personalismi ristretti emergono, ad ogni indagine, come un filo conduttore che mai si allontana dalla sua trama. In Calabria, già da tempo, o si è parte di una cerchia ristretta o si è fuori da ogni contesto lavorativo, professionale, pubblico e privato, societario o individuale; dal fare l’amministratore di condominio all’ottenere appalti o incarichi pubblici, dal più piccolo comune all’ambito regionale le regole sono sempre identiche con la unica e sola conseguenza di costringere ad oltrepassare i confini regionali da parte di chi non è disposto ad entrare in quegli ambienti esclusivi o, forse, non riesce ad entrare in ambiti in cui, spesso, si diventa succubi e servili nei confronti del personaggio di turno.
In Calabria c’è questa nuova forma di schiavismo del quale nessuno parla pur essendo alimentato dai rappresentati dello Stato, delle istituzioni, uno schiavismo fatto di dipendenza per un lavoro precario di alcune centinaia di euro al mese che annulla personalità e professionalità di chi ne accetta regole e condizioni; dal sindaco al senatore, dal deputato regionale all’onorevole di turno tutti si affannano a creare e mantenere un proprio feudo che garantisca un consenso elettorale frutto, spesso, di meccanismi perversi che poco differiscono dal periodo feudale in cui i feudatari accentravano nelle proprie mani anche i diritti dei loro sudditi.
E chi non si abbassa a simili equilibri? È fuori, sia esso politico o comune cittadino, perché non c’è spazio per coloro che alterano equilibri consolidati e radicati. Secondo Tacito le leggi sono moltissime quando lo stato è molto corrotto e, pertanto, si comprende il perché in Italia non bastano leggi per regolare la nostra vita pubblica e privata; e se per Benedetto Croce “Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di più gente onesta” in una Calabria martoriata sotto tanti aspetti, la corsa alla corruzione, così come la corsa all’oro americana del secolo scorso, appare essere sempre più in voga, sempre più viva, vigorosa e l’episodio del governatore Oliverio, così come quello di altri politici calabresi corrotti o condannati, è solo uno dei tanti esempi di quanto poco si tenga alla propria terra, ai propri figli, al proprio futuro, alla propria dignità di persona, di politico e di calabrese.
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