Caso Bonafede, il Governo Conte potrebbe essere a un bivio

Il Guardasigilli nel mirino per i boss scarcerati e le accuse di Di Matteo. La maggioranza fa quadrato, ma c’è l’incognita Renzi, che potrebbe votare la mozione di sfiducia del centrodestra

alfonso bonafede

Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede

Il caso Bonafede manderà un Governo di giustizialisti in crisi sulla giustizia? Sembrerebbe una barzelletta – o una dantesca legge del contrappasso -, ma al momento questo scenario, benché poco probabile, non può essere escluso a priori.

Per completare lo psicodramma della maggioranza rosso-gialla, poi, il pomo della discordia è proprio il Guardasigilli, il grillino Alfonso Bonafede. Il quale, forse in analogia con Giuseppi, sta dando l’impressione di avere un gemello o un sosia che di quando in quando lo sostituisce – Alfonsi.

Il caso Bonafede, Ministro a sua insaputa

Due sono i principali nodi del contendere – anche se uno, allo stato, è più che altro scenico. Il vero caso Bonafede riguarda le scarcerazioni “facili” di boss mafiosi a causa dei timori di contagi legati all’emergenza coronavirus.

Un provvedimento che ha scatenato ondate di indignazione e perplessità. Come quella del Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho.

«L’amministrazione penitenziaria può intervenire e assegnare i detenuti a centri di cura penitenziaria, centri ospedalieri che sono anche dentro le carceri» ha affermato il magistrato, aggiungendo che sarebbe stato sufficiente un termoscanner. «Il detenuto che si trova in regime di 41bis è un detenuto che si trova in isolamento, e quindi è evidente che non può essere contagiato né contagioso».

A rendere poi ancora più imbarazzante l’incresciosa vicenda è il fatto che, solo pochi giorni fa, il Ministro della Giustizia la negava recisamente. «Sulle carceri sono state diffuse menzogne, a cominciare dal fatto che si è detto che i mafiosi stanno uscendo dal carcere». Queste le parole di Alfonso 1 appena prima di essere sbugiardato in diretta tv da Massimo Giletti. Il quale ha impietosamente elencato – oltretutto solo parzialmente – i nomi dei capimafia a cui sono stati concessi i domiciliari.

A quel punto, con una nonchalance tanto sfacciata quanto sconcertante Alfonso 2 ha cambiato totalmente rotta. E ha annunciato che è allo studio una norma che permetta ai giudici di sorveglianza di rivalutare le scarcerazioni dei ras della criminalità organizzata.

Così, come se niente fosse. Si fossero disputate le Olimpiadi, una tale faccia di bronzo gli avrebbe indubbiamente meritato la medaglia d’oro in arrampicata sugli specchi.

La querelle con Nino Di Matteo

Sullo sfondo, poi, resta sempre la querelle con l’ex Pm Nino Di Matteo. Il quale ha accusato il Ministro-a-sua-insaputa di avergli proposto di dirigere l’Amministrazione penitenziaria, salvo cambiare idea in seguito alle rimostranze di alcuni padrini.

L’attuale consigliere del Csm ha anche rivelato di aver ricevuto l’offerta di guidare gli Affari penali del Dicastero di via Arenula. E, proprio in quell’occasione, il titolare della Giustizia avrebbe affermato che per quel posto «non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga». Come a confermare l’esistenza di pressioni per bloccare la nomina del magistrato siciliano al Dap.

Tuttavia, quelle sollevate da Di Matteo sono solo ombre, per quanto pesanti: il che spiega perché questa seconda parte del caso Bonafede è soprattutto mediatica.

Per dire, l’house organ ufficioso del M5S si sta disperatamente producendo in ogni sorta di equilibrismo per cercare di salvare entrambi i suoi idoli. Ad esempio, ha fatto notare come tra gli eventi raccontati dall’icona antimafia non sussista necessariamente un rapporto causale. Il che implica che possa anche sussistere, ma per i manettari dattilografi era sufficiente come difesa d’ufficio dell’esponente dei Cinque Stelle.

In ogni caso, resta un fatto che, come ha ironizzato il leader leghista Matteo Salvini, non possono avere ragione tutte e due i protagonisti. E, al momento, la verità la sanno solo ed esclusivamente loro.

Il caso Bonafede e le conseguenze sul Governo

Il centrodestra compatto ha depositato in Senato una mozione di sfiducia contro Bonafede. «Ha mostrato evidente incapacità e inadeguatezza in un settore così delicato, come quello delle carceri», la spiegazione del Capitano. Il quale non ha mancato di ricordare i 400 «mafiosi, assassini e delinquenti usciti dalle carceri».

In teoria, non ci dovrebbero essere i numeri per far approvare la mozione. Ma tra la teoria e la pratica può correre un abisso.

Il Ministro della Giustizia potrà contare, com’è naturale, sull’appoggio del MoVimento, che ha fatto quadrato attorno al proprio rappresentante. Anche il Pd si è pubblicamente esposto in difesa del Guardasigilli, per esempio con il suo predecessore in via Arenula Andrea Orlando.

Eppure, il segretario dem Nicola Zingaretti si è sentito in dovere di precisare che, «se questo Governo non ce la fa, vedo difficile che si possa riproporre una maggioranza diversa». Tradotto dal politichese, significa voto anticipato, Mattarella permettendo.

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L’incognita Renzi

Bersaglio (mai nominato) della velina era il leader di Iv Matteo Renzi, la cui avversione per l’alleato pentastellato potrebbe portarlo a votare con l’opposizione. Se lo facesse, non è comunque detto che si aprirebbe una crisi di Governo. Una mozione di sfiducia individuale, infatti, potrebbe anche non ripercuotersi su tutto l’esecutivo.

Di certo, però, una scelta simile creerebbe un enorme problema politico tutto interno alla maggioranza. Da cui l’avviso al navigante del Governatore del Lazio, perfettamente consapevole che i sondaggi non sono dalla parte dell’ex Rottamatore.

Per questo, come abbiamo già argomentato, siamo piuttosto scettici sulla possibilità di una caduta del bi-Premier Giuseppe Conte. Vero è che il senatore di Rignano resta sempre un’incognita, a maggior ragione su una questione di principio come il caso Bonafede.

Su Alfonsi, dunque, il Governo potrebbe essere a un bivio. E, come sottolineato perfidamente dalla stessa Italia Viva, «chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo perisce».

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