Stefano Cucchi ha dovuto attendere 4 lunghi anni per la verità. Nel gennaio 2011 era stato disposto il rinvio a giudizio, cui sono seguite 45 udienze. Fino ad oggi. Questa mattina, infatti, la III Corte d’Assise, presieduta da Evelina Canale, si è riunita in camera di consiglio. La sentenza di primo grado sulle responsabilità dei 12 imputati sotto processo per la morte di Stefano Cucchi, è prevista per questo pomeriggio.
I 12 alla sbarra, ritenuti responsabili del decesso inspiegabile di Stefano, avvenuto nel reparto riservato ai detenuti dell’ospedale Pertini 6 giorni dopo essere stato arrestato per droga nell’ottobre 2009, sono 6 medici, 3 infermieri e 3 agenti della polizia penitenziaria.
Le accuse rivolte contro di loro, a vario titolo e a seconda delle posizioni, ognuno per la propria parte, sono quelle di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso di autorità. Che, quindi, andrebbero a confermare le tesi dei pm che ritengono che Cucchi sia stato percosso gravemente mentre era in attesa dell’udienza di convalida, e, successivamente, trascurato dai medici in ospedale. Sempre con la stessa, assurda, giustificazione: “Stefano Cucchi rifiuta di sottoporsi alle cure”.
Le condanne richieste per i 12 imputati sono 6 anni e 8 mesi per il primario dell’ospedale Pertini; per gli altri medici sono richieste pene comprese tra i 6 anni e i 5 anni. Per gli infermieri 4 anni, e 2 anni di reclusioni per gli agenti della polizia penitenziaria.
Nel processo Cucchi, oltre ai familiari di Stefano, si sono costituite parti civili anche il Comune di Roma e il Tribunale per i diritti del malato, che hanno chiesto alla Corte un risarcimento di oltre 1 milione e 300 mila euro.
In aula, accanto ai familiari di Stefano Cucchi, ci saranno anche Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva, morto nel 2008 all’ospedale di Varese dopo esser stato fermato dai Carabinieri; Patrizia Moretti, madre di Federico Aldovrandi, morto 18enne nel 2005, dopo un controllo effettuato dalla Polizia; Domenica Ferrulli, figlia di Michele Ferrulli, deceduto all’età di 51 anni, dopo il suo arresto. Era il 2011.
Quella che sarà pronunciata oggi dalla Corte d’Assise sarà una verità giudiziaria che non servirà a riportare in vita Stefano Cucchi. Né Federico Aldovrandi. Né Giuseppe Uva. Né Michele Ferrulli.
Ma almeno servirà a far capire che chi sbaglia, prima o poi, deve pagare. Perché la morte di Stefano Cucchi è la morte di tutte le persone violentate nel silenzio e nell’omertà.
E allora, se una giustizia c’è, questa verità giudiziaria servirà a dire che la giustizia non è quella che si fa da sé. Che nessun uomo può decidere della vita o della morte di altri uomini. Perché c’è qualcosa che si erge al di sopra delle debolezze umane, e questa cosa si chiama ‘Legge’. Sempre che ci sia qualcuno in grado di saperla applicare nel modo giusto.
Perché i greci, dicevano che la legge è ‘phàrmakon’, e cioè ‘veleno e antidoto’. Vuol dire che la legge deve punire chi sbaglia e deve riabilitare chi ha sbagliato a non commettere più errori. Ma, allo stesso tempo, il diritto deve far capire agli altri uomini che la legge è quell’arma sottratta alla rabbia umana, perché l’uomo non può farsi vendetta da sé.
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