Martina Ciontoli è uscita dal carcere, ma solo per lavorare. Condannata a 9 anni e 4 mesi per omicidio in concorso, la donna potrà lavorare di giorno in un bar e rientrare in cella la sera, secondo quanto disposto dal magistrato di sorveglianza. La vicenda legata alla morte di Marco Vannini, avvenuta la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 a Ladispoli, rimane una delle pagine più dolorose e controverse della cronaca del Lazio.
Marco Vannini, ventenne di Cerveteri, si trovava nella villetta della famiglia Ciontoli, in via Alcide De Gasperi a Ladispoli, quando venne ferito da un colpo di pistola sparato da Antonio Ciontoli, padre della fidanzata Martina. Il proiettile, partito accidentalmente secondo la versione fornita dall’uomo, colpì Marco sotto l’ascella.
Ma il vero dramma si consumò nelle ore successive: i soccorritori vennero chiamati con un colpevole ritardo, e quando arrivarono ormai non c’era più nulla da fare. Marco morì in ospedale a causa delle gravi ferite, aggravate proprio dal mancato intervento tempestivo.
Secondo i giudici, la famiglia Ciontoli ritardò volutamente la chiamata ai soccorsi per cercare di minimizzare l’accaduto e proteggere il capofamiglia.
La vicenda giudiziaria si è conclusa nel maggio 2021, quando la Corte di Cassazione ha confermato le condanne per tutti i membri della famiglia Ciontoli.
Secondo la Cassazione, è “inverosimile” che la famiglia Ciontoli abbia creduto alle bugie raccontate da Antonio Ciontoli, che sostenne che la ferita di Marco fosse stata provocata da una caduta accidentale su un pettine a punta. I giudici hanno ritenuto che tutti fossero consapevoli della gravità della situazione, ma scelsero comunque di non intervenire per salvare il ragazzo.
Ora, a quasi quattro anni dall’inizio della detenzione, Martina Ciontoli ha ottenuto il permesso di lavoro esterno. Durante i giorni feriali potrà lavorare in un bar gestito dalla Scuola superiore per l’educazione penale “Piersanti Mattarella”, un’iniziativa del ministero della Giustizia che promuove il reinserimento sociale dei detenuti.
Il magistrato di sorveglianza ha valutato positivamente la possibilità di avviare questo percorso per Martina, considerando che si tratta di un’opportunità volta alla rieducazione e al recupero sociale del condannato.
La notizia del permesso concesso a Martina ha sollevato critiche e polemiche sui social e tra l’opinione pubblica. In particolare, aveva destato scalpore il nuovo fidanzato di Martina che, nei mesi scorsi, si era recato a Rebibbia per visitarla.
Tuttavia, le visite in carcere sono un diritto riconosciuto ai detenuti, come previsto dalla legge. Anche in questo caso, le polemiche si sono concentrate più sul clamore mediatico che sui fatti concreti.
I genitori di Marco, Marina Conte e Valerio Vannini, hanno sempre lottato affinché la verità venisse a galla e la giustizia facesse il suo corso. La madre di Marco, in particolare, ha più volte sottolineato il dolore per la perdita del figlio e l’incredulità di fronte al comportamento della famiglia Ciontoli.
“Marco avrebbe potuto salvarsi – ha dichiarato Marina Conte – se solo avessero chiamato subito i soccorsi. Ma hanno scelto di mentire e di lasciarlo morire”.
La vicenda di Marco Vannini ha colpito profondamente l’opinione pubblica, diventando il simbolo di una giustizia che non può essere piegata. Ogni anno, a Ladispoli e Cerveteri, si tengono manifestazioni e fiaccolate per ricordare Marco e per chiedere che situazioni simili non si ripetano mai più.
La famiglia Vannini continua a lottare per tenere viva la memoria di Marco e per sensibilizzare sull’importanza della responsabilità e della verità.
Il caso Vannini è destinato a rimanere una ferita aperta nella cronaca giudiziaria italiana e, in particolare, nella comunità romana. Il permesso di lavoro esterno concesso a Martina Ciontoli segna una nuova fase di questa vicenda, che continua a dividere l’opinione pubblica tra chi invoca giustizia severa e chi riconosce il diritto alla rieducazione.
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