Cassazione. Un’involuzione di 12 anni: lo stalking non è più aggravante
Per la Cassazione lo stalking non costituisce un aggravante in caso di uccisione della vittima. Le donne sono difese sempre meno dalla legge
Anziché progredire si retrocede. Anni di lotte per la tutela di tutte le donne in condizioni di particolare debolezza. Ma è sufficiente un giudizio espresso dalla Corte di Cassazione, in merito a un caso risalente a 5 anni fa, per determinare un’involuzione del sistema giudiziario di circa 12 anni, che fa ripiombare le donne nella paura.
La decisione della Corte di Cassazione
Per le Sezioni unite della Corte di Cassazione lo stalking non è più un aggravante in caso di omicidio e femminicidio. Chi uccide pagherà solo per aver tolto la vita ad un’altra persona, non per il reato commesso in precedenza, dal momento che l’omicidio, in quanto reato complesso, assorbe tutto il resto, compresi gli atti persecutori. Lesioni e stalking non avranno alcun peso sulla sentenza. È quanto stabilito ieri in merito ad un caso avvenuto a Sperlonga, in provincia di Latina, nel giugno del 2016, quando Anna Lucia Coviello, dipendente della Poste, dopo essere stata perseguitata per mesi, fu uccisa da una sua collega.
Il reato di stalking
Nel 2009 fu introdotto il reato di stalking che, nel caso di uccisione della vittima, costituiva un’aggravante del reato. In questo modo era possibile condannare l’assassino per entrambi i reati, con un aumento della pena fino all’ergastolo. Con il termine stalking si indica una serie di atteggiamenti, comportamenti (i cosiddetti atti persecutori) tenuti da un soggetto (stalker) nei confronti della vittima, al fine di ingenerare nella stessa paura ed ansia, compromettendo il normale svolgimento della vita quotidiana.
Il reato di stalking nel codice penale
È stata la legge n. 38 del 2009 a introdurre il reato nel codice penale all’art. 612-bis. Il testo dell’articolo cita testualmente: “Chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Le interpretazioni nel tempo
Nel 2020, la Prima sezione della Cassazione aveva sancito che, non essendo l’omicidio aggravato è un reato “complesso”, la condanna deve arrivare anche per comportamenti persecutori. La Terza sezione aveva però dato lettura diversa, ritenendo che l’assassinio assorbisse tutto il resto. La Quinta ha invece preferito inviare tutto alle Sezioni unite. La scelta deve ancora essere motivata, ma si tratta pur sempre di un ennesimo attacco nei confronti delle donne, dato che troppo spesso il reato di stalking sfocia in femminicidio.
Le conseguenze secondo Birritteri, Sostituto Procuratore Generale
“La conseguenza di un sistema di interpretazione che dovesse riconoscere l’assorbimento dello stalking nel successivo omicidio della stessa vittima rischia – ha dichiarato il Sostituto Procuratore Generale Luigi Birritteri – di depotenziare un sistema di tutela delle vittima più vulnerabili, in massima parte le donne in situazione di particolare debolezza, che faticosamente si è fatto strada nel nostro ordinamento soltanto negli ultimi lustri. Dalla libertà sessuale a quella di relazione, sino al diritto dell’intangibilità fisica”.
Donne sempre più vulnerabili
Resta sempre alta la percentuale di denunce di atti persecutori che sfociano poi purtroppo nell’esito più drammatico, come l’omicidio. Questa decisione rischia così di rendere le donne e le vittime di stalking ancor più vulnerabili. Di fronte al loro aguzzino e di fronte la legge.