Casta e privilegi in attesa del referendum. Le previsioni di Luigi Sturzo
E’ a Luigi Sturzo che dobbiamo l’introduzione nella pubblicistica politica del termine “casta” per definire i privilegi di una classe di privilegiati
L’emergenza pandemica sta rivelando un Sistema Italia forse migliore (facciamo gli scongiuri) di quanto supponessimo, ma ha anche sopravanzato nei media e nell’agenda politica italiana alcuni temi impellenti nel Pre Covid.
Per esempio il referendum confermativo del taglio dei Parlamentari indotto dalla legge del 27.05.2019, che infatti prevede la riduzione da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi.
Una nuova legge contro casta e privilegi
Tutto ciò porta con sé un necessario riequilibrio in termini di legge elettorale, che ridisegni i collegi, che marchi uno spostamento verso il proporzionale, che eviti anomale rappresentanze e anzi garantisca comunque l’esercizio pieno e razionale della sovranità popolare che si esprime nelle urne.
In modo quasi istintivo ed automatico, quando mi occupo di questi argomenti, mi sovviene Luigi Sturzo, uno dei Padri della Patria al quale dobbiamo molto. Per la teoria sull’autonomia municipale delineata sin dal 1902 con il discorso di Caltanissetta. Alla sua concezione della politica laica ma fortemente improntata alla dottrina sociale cristiana. Per una vis polemica implacabile e coerente contro la deriva che alla caduta del fascismo coinvolse le forze di governo e in primis la Democrazia Cristiana.
Luigi Sturzo e le Tre Male Bestie
Nei sui libri e nei suoi scritti da pubblicista chiamò questi fattori degenerativi le TRE MALE BESTIE. Lo statalismo che già cominciava ad affermarsi nelle aule del Parlamento. La partitocrazia che ne interpretava gli spiriti e gli interessi corporativi, con nuove regole spartitorie e parassitarie. Il denaro pubblico, ridotto da sacro strumento di governo a preda da usare e saccheggiare.
E’ a Luigi Sturzo che dobbiamo l’introduzione nella pubblicistica politica del termine “casta” per definire una classe di privilegiati che trae vantaggi personali da uno status di diritto pubblico, dandosi le regole per usufruirne.
Casta, privilegi e il fondo pensioni per parlamentari
Nell’agosto del 1950, nella neonata Repubblica, si comincia a parlare di un fondo pensioni per i parlamentari che abbiano raggiunto una certa anzianità di mandato. Pare “qualche cosa che confini” dice Sturzo sul quotidiano -24 ore- dell’11 agosto, “con la carriera impiegatizia, con il mandarinato e sbocchi infine ad uno stato di quiescenza a carico del pubblico erario”.
“Ognuno si tenga la pensione sua”, prosegue il Prosindaco di Caltagirone, “se è impiegato, da impiegato, se operaio da operaio, se da avvocato da avvocato. Una cassa pensioni deputatizia non solo è superflua, ma ha un effetto deplorevole nell’opinione pubblica. E dà l’impressione di volere creare o consolidare una CASTA, quella parlamentare”
La distanza di queste parole, così genuine e piene di quella forza morale che probabilmente solo un sacerdote sa esprimere, dall’attuale status di cui godono i nostri rappresentanti statali e regionali, è disarmante e nello steso tempo avvilente.
Com’è potuto accadere che il diritto di rappresentanza si sia trasformato nel dopoguerra, non solo in Italia naturalmente, in privilegio di casta (la presenza in una seduta parlamentare comportava un vitalizio) è materia di studio. La riduzione del numero dei Parlamentari è materia di referendum.
Francesco Chiucchiurlotto, analista delle istituzioni – RES PUBLICA – n°348 – 05.08.2020
Piccoli Comuni, nel Lazio 254 su 378. Una legge per riconoscerne la dignità