Sull’inverno demografico tanto paventato dalle politiche europee, la Tuscia è in linea, se non peggio, con il resto d’Italia.
I dati Istat, rielaborati da Openpolis, rivelano un panorama poco incoraggiante. Nel 2023, a livello nazionale, sono state registrate 379.000 nuove nascite, con una diminuzione di 14.000 unità rispetto al 2022, pari al 3,6%. Rispetto al 2008, l’ultimo anno di picco, il calo è superiore a un terzo (-34,2%), con una diminuzione di 197.000 nati in 15 anni. Gli esperti sottolineano che questa diminuzione riguarda sia i nati con cittadinanza italiana che straniera, incidendo sul tasso di natalità, sceso a 6,4 nati ogni mille abitanti nel 2023, dai 6,7 del 2022.
In oltre il 60% dei comuni italiani, il tasso di natalità è inferiore alla media nazionale. Solo il 36,6% dei comuni registra dati migliori. La provincia di Viterbo rientra in questo primo quadro. Nel capoluogo, Viterbo, il tasso di natalità nel 2021 è stato di 6,2 ogni mille abitanti, inferiore sia alla media nazionale (6,8 nel 2021) che a quella europea (9,1). Questo dato è in calo rispetto al 2014, quando era pari a 8,3.
La situazione non migliora nei comuni più popolosi della provincia:
Alcuni piccoli comuni della provincia offrono invece dati positivi:
Altri piccoli comuni presentano dati meno incoraggianti:
Questi dati illustrano un quadro demografico complesso per la Tuscia, con alcune eccezioni positive che, però, non riescono a invertire la tendenza generale al calo delle nascite.
l calo delle nascite in Italia è un fenomeno complesso e multifattoriale che coinvolge aspetti economici, sociali, culturali e politici. Comprendere le ragioni di questo declino è fondamentale per poter sviluppare politiche efficaci volte a invertire la tendenza.
Ecco alcune delle principali cause del calo demografico in Italia: La prima è senza dubbio l’ Incertezza economica e lavorativa. L’instabilità economica e la precarietà lavorativa sono tra i principali fattori che scoraggiano le giovani coppie a mettere su famiglia. La disoccupazione giovanile è elevata, e molti lavoratori sono costretti ad accettare contratti temporanei e mal retribuiti. Questo rende difficile pianificare il futuro e sostenere i costi legati ai figli. Anche il costo della vita, in particolare nelle grandi città, incide negativamente sulle decisioni riguardanti la procreazione. Ma supponiamo che si decida comunque di mettere al mondo un figlio, avremmo politiche a sostegno?
La risposta è no. Le politiche di sostegno alla famiglia in Italia sono spesso considerate inadeguate. I servizi di assistenza all’infanzia, come gli asili nido, sono costosi e non sempre accessibili. I congedi parentali, pur essendo migliorati negli ultimi anni, non sono sufficientemente incentivanti. In molti paesi europei con tassi di natalità più alti, le politiche di supporto alle famiglie sono più sviluppate, offrendo incentivi economici, congedi più lunghi e servizi di cura dei bambini più accessibili e convenienti.
Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, naturalmente legato alla denatalità, crea un circolo vizioso. Una popolazione più anziana implica un numero crescente di persone che escono dall’età riproduttiva e un numero relativamente inferiore di giovani che entrano nell’età fertile. Questo squilibrio demografico contribuisce ulteriormente al calo delle nascite. Insomma, le ragioni per non mettere al mondo un figlio sono molteplici e non sempre di soluzione immediata. Resta da capire come invertire la rotta e soprattutto, se avremo risorse sufficienti per sostenere il boom demografico se dovesse arrivare.
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