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Cerreto Laziale. Terra di vino buono, olio e pizzarelle

L'ultima volta che la incontrai fu nel mese di giugno del 2000. Nonna Agata aveva già compiuto 100 anni e me la ritrovai davanti al camino acceso, con una mantellina di lana lavorata con i ferri da calza sulle spalle. Ormai non ci vedeva e non ci sentiva quasi più,  e per parlarle dovevi urlarle ben dentro le orecchie. Mi riconobbe e mi disse testualmente: "Me sto a rescallà." Era il mese di giugno, giugno inoltrato… Nonna Agata cucinava benissimo e nel tempo, ho avuto più volte occasione di apprezzare il frutto della sua abilità tra i fornelli. Fettucine, lasagne, ravioli, gnocchi e… attenzione, attenzione… pizzarelle. Cosa saranno mai queste pizzarelle? Si tratta di una pasta tipica fatta in casa, che nasce come tradizione a Cerreto Laziale.

Ecco dunque svelato l'itinerario di questa settimana: Cerreto Laziale. Prima di ogni altra cosa però, approfondiamo il discorso sulle pizzarelle. Siete d'accordo? Ok!  Le pizzarelle, sono un piatto di origine contadina, a base di farina di grano, mista a farina di grano e granoturco. Si può optare per diversi tipi di condimento: sugo di pomodoro, aglio e peperoncino, oppure qualcosa di più elaborato come baccalà o lumache. Una leccornia assoluta! Il consiglio è quello di assaporare questa prelibatezza nel più breve tempo possibile e se proprio non dovesse riuscirvi,  prendete carta e penna, per annotare il periodo  della sagra che si svolge intorno alla metà di settembre.  

Cerreto Laziale è un paese molto accogliente, ordinato, ben tenuto, a 520 metri sul livello del mare, situato sulla valle del Giovenzano. Alle sue spalle, in direzione nord, si trovano tre rilievi appartenenti ai monti Ruffi. Ricordo i tempi della scuola, quando talvolta prendevo l'autobus che serviva anche i centri limitrofi: Sambuci, Ciciliano, Gerano. E' vivo e presente il pensiero che avevo allora, quando capitava di non aver la benchè minima voglia di stare tra i banchi. Avrei voluto starmene  tra i monti, libero come l'aria, senza l'assillo di interrogazioni, compiti in classe o quant'altro. Comunque, visto che adesso si può, torniamo a Cerreto di buona lena.  Secondo alcune fonti, il nome ha origine in  riferimento al Monte Cerretum, secondo altre, deriva dal latino 'Quercus cerris', relativamente al fatto che in precedenza, il territorio era contornato da cerri.

La storia riporta un fatto accaduto nel 1592, durante la notte tra il 24 e il 25 aprile, quando i cerretani,  insidiati dai briganti di Mario Sciarra e rifugiatisi nella fortezza, la cui torre è ancora intatta, legarono una stoffa imbevuta di pece alla coda si una gatta, che fu letteralmente gettata tra i fienili dove si trovavano i briganti. La gatta, correndo impaurita, provocò il fuoco in lungo e in largo. Da qui, nei secoli, la festa popolare che si è tramandata di generazione in generazione, tenendo conto anche del fatto che essendo divampate le fiamme in tutto il borgo, i cerretani fecero una processione invocando S.Agata, la quale, si dice, sedò l'incendio.

Tornando ai nostri giorni e per godere di sensazioni decisamente più amene, come le precedenti(vedi voce pizzarelle), si consiglia vivamente il pane locale, la pizza bianca e i dolci caratteristici. Infine, non posso omettere un bel ricordo che mia madre riprende di tanto in tanto. Dovete saper che la maestra Iole, quando insegnava a Cerreto, alla fine degli anni '50, una mattina, prima di entrare in classe, si accorse di aver perso l'orologio. Potete ben immaginare la sua preoccupazione!

Tutti i bambini, anzichè entrare in classe, volevano organizzarsi per una bella caccia al tesoro, tuttavia, il dovere era dovere e non se ne fece nulla. Il giorno trascorse senza ulteriori novità e della pecorella smarrita nessuna traccia, ma l'indomani, ecco una mamma tutta sorridente, con il suo figlioletto mano nella mano, presentarsi a mia madre con l'orologio. Che gioa grande fu! Ancora oggi, quando racconta questo episodio, la maestra ora 90enne, si commuove ancora. Mi piace parlare di Cerreto anche in questi termini, perchè in fondo, quest'angolo di mondo mi appartiene, nella misura in cui nonna Agata mi ha insegnato ad amarlo, così come ha fatto la mia mamma maestra, con il suo orologio smarrito, che, non ci crederete, è ancora a casa, nell'angolino delle belle storie da narrare, anche se ormai, non funziona più.

Foto di Adriano Di Benedetto

Redazione

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