Nel mare delle complesse contraddizioni del mondo cattolico, l’ultima ad aver interessato le cronache è quella che riguarda la condizione religiosa della coppia gay, ritenuta non degna di ricevere la benedizione perché “Detto rito non può essere considerato “lecito”.
Lo ha reso noto la Congregazione per la Dottrina della Fede affermando, con il classico tratto aulico, che non si tratterebbe di un’ingiusta discriminazione verso le persone e che pertanto detto “rifiuto” non costituirebbe fonte di giudizio sui singoli individui.
Ci si domanda però, che differenza ci potrà mai essere tra la benedizione cattolica riservata al gay single rispetto a quella negata ai due gay in coppia?
Sarebbe forse più onesto ammettere che si tratta di un evidente e malcelato consiglio – se non proprio un vero e proprio invito criptato – a nascondersi, o comunque a non dare espressione pubblica al proprio orientamento sessuale, così in palese contrasto con i principi evolutivi degni di nota volti a tutelare le libertà individuali, compresa – per l’appunto – quella sessuale.
In questo incomprensibile “mantra” di ambiguità, sembrerebbe tuttavia che, mentre in alcuni ambiti della Chiesa si stiano evolvendo ipotesi di accoglimento (e conseguente benedizione?) di unioni civili tra persone dello stesso sesso, ove la volontà di accogliere questi fedeli nel cammino di crescita nella fede corrisponde l’impegno di aderire alla responsabilmente alla volontà di Dio che ama tutti i suoi figli, per contro, gli effetti spirituali che derivano dalla santificazione delle opere umane nel segno divino che avvengono attraverso le benedizioni, non sarebbero coerenti con alcune relazioni umane, di cui occorrono la retta ed oggettiva intenzione di coloro che ne fanno parte in funzione dei “disegni del Creato” rivelato dal Signore Gesù Cristo.
In pratica, secondo gli ambienti pontifici, la “santità della vita” – degna di misericordia – non si addice principalmente a chi non si può riprodursi nell’ambito della coppia, essendo la vita sessuale preordinata principalmente alla procreazione. Forse in Curia non hanno pensato che questa discriminazione varrebbe solo per le coppie gay maschili, potendo le coppie gay composte da persone di genere femminile procreare liberamente, volendo, anche in contemporanea.
Ma il problema a monte è un altro: per essere benedetti, occorre essere sposati con il rito del sacramento cattolico. L’ordinamento italiano, con la legge 20 maggio 2016 n.76, denominata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” ha però giuridicamente riconosciuto la coppia formata da persone dello stesso sesso, stabilendone diritti e doveri reciproci, analogamente a molti altri paesi dell’Unione Europea. Alcuni dei quali hanno già parificato l’unione civile al matrimonio, anche nella sua stessa definizione.
Questa normativa è stata, peraltro, oggetto di una recente “lacuna” da parte del Pontefice che, evidentemente ignorandola, ha invitato lo Stato Italiano a provvedere in tal senso.
Dunque, teoricamente, in virtù delle norme sul Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984, due persone gay potrebbero chiedere di potersi sposare in Chiesa e così ottenere il “doppio effetto” giuridico, sia secondo l’ordinamento italiano che quello Vaticano.
Ma, ahimè, l’indissolubilità del vincolo tra un uomo fecondatore e una donna aperta alla trasmissione della vita, nella coppia omosessuale non c’è.
L’unica consolazione resta quella della rilevata presenza, da parte delle autorità cattoliche, di qualche elemento positivo da apprezzare e (perché no?) magari da valorizzare in ragione del pacifico e stabile “paternariato affettivo”, ma che comunque non è in grado legittimare la benedizione ecclesiale perché non al servizio di quella unione matrimoniale benedetta perché preordinata al disegno del Creatore.
Quindi, con tutto il rispetto e la delicatezza per le persone con inclinazione omosessuale, ancorché volte a intraprendere il cammino della fede con sincera disponibilità agli insegnamenti cattolici, per la Chiesa Cattolica, nessuna analogia può esistere tra le laiche unioni civili o convivenze e il matrimonio come sacramento.
Come dire: ti concedo la cittadinanza, ma non i diritti che promanano da essa. E allora: “Chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza”…
Non vediamo altro modo di chiudere il tema se non con questo ottimistico richiamo letterario quattrocentesco.
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