Ci troviamo in pieno centro a Roma, a pochi passi da Piazza Navona e siamo in uno dei ristoranti istituzionali dell’alta cucina Capitolina, Il Convivio (1 stella Michelin) dei fratelli Troiani. In un periodo storico come quello attuale, dove tanti nuovi locali hanno spesso vita breve, ristoranti come Il Convivio sono sempre una sicurezza, non temono il passare del tempo né il cambiare delle tendenze.
I fratelli Troiani (Angelo, Giuseppe e Massimo), marchigiani di origine, approdano a Roma nel 1990 e già nel 1993 conquistano la stella Michelin che hanno conservato e conservano ininterrottamente fino ad oggi. Nel 1999 si spostano di poche centinaia di metri e aprono il ristorante nella sede attuale in vicolo dei Soldati, una sede più grande, elegante e prestigiosa della precedente, all’interno di un palazzo storico. Noi abbiamo incontrato Angelo, chef de Il Convivio e Maestro di tante nuove generazioni.
Buongiorno Angelo, come si resiste per oltre trent’anni sempre allo stesso, altissimo, livello?
Dimenticando tutto quello che si è fatto prima! Alzarsi con la voglia e il pensiero che il meglio deve ancora venire!
Da trentuno anni siete insigniti della stella Michelin, avete mai pensato o sperato di aggiungere la seconda?
Le stelle non dipendono da noi, se fosse per noi ne avremmo quattro, cinque, sei… Noi pensiamo a fare bene e a migliorarci e in linea di massima ognuno ha quello che si merita. Evidentemente ne meritiamo una, però meritiamo un’attività che dura da trent’anni, funziona bene e ha fidelizzato molto. Ci alziamo la mattina con l’intento di migliorarci per avere l’attività sempre piena e poi, magari, raggiungere traguardi di soddisfazione indubbi a cui tutti mirano. Riconoscimenti che ti danno soddisfazione ma anche l’opportunità di organizzare meglio il lavoro.
Quanto è importante, nel vostro successo, il fatto di essere fratelli?
Molto, anche se come in ogni cosa ci sono le due facce della medaglia. Sicuramente, se duriamo da oltre trent’anni, è anche perché abbiamo sofferto insieme e abbiamo gioito insieme.
Angelo Troiani con Alessandro Narducci
In questi anni tanti giovani chef sono cresciuti nella sua cucina, tra questi il compianto Alessandro Narducci. Ci può regalare un ricordo?
Alessandro è passato ma non è passato, è rimasto nel cuore, nei ricordi… Sono stato il suo Maestro e lui è stato uno straordinario allievo. Io mi sono sempre trovato bene con i ragazzi e questa è un’altra delle cose che mi aiutano a rimanere ancora in sella dopo tanti anni: pensare come i giovani, con la loro voglia di fare e di spaccare tutto e in questo Alessandro è stato un riferimento. Ho un ricordo indelebile di lui. Poi come professionista basti pensare che a meno di trent’anni era già una star. Con lui era iniziato il progetto di Acquolina (oggi 2 stelle Michelin), finito subito dopo la tragedia, almeno per me. Non aveva più senso, non avevo più stimoli, non avevo più motivazioni.
Che ricordo ha invece di Giulia Puleio, anche lei con voi ad Acquolina, fino a quella tragica sera del 22 giugno 2018?
Si, Giulia lavorava con noi ad Acquolina. Era una ragazza speciale, sembrava d’altri tempi. Si vedeva che le piaceva questo lavoro, lo faceva con naturalezza ed era diventata un punto di forza della sala del ristorante. Tra l’altro, ancor prima, ho conosciuto anche suo fratello Davide che è stato diverso tempo con me al Convivio.
Angelo Troiani con Daniele Lippi
Invece cosa mi racconta di Daniele Lippi? Il successore di Alessandro Narducci nella cucina di Acquolina.
Daniele è stato al Convivio una decina di anni, è entrato da stagista appena diciottenne e poi ha fatto tutto il percorso fino a diventare chef. Credo sia naturale quando gli allievi diventano migliori del Maestro, è la cosa più bella che ci può rimanere con il passare del tempo. Daniele l’ho praticamente visto crescere in tutti i sensi.
Recentemente ho letto che per lei c’è stato un pre e un post Covid, perché? Come è cambiata la sua cucina?
Si, assolutamente! Perché gli schiaffi servono a far riflettere. Il Covid ci ha tolto quasi tre anni di vita, a noi ha tolto la possibilità di poter fare quello che facciamo da una vita. Ogni mattina era un “non so cosa farò” o “cosa succederà?”, i progetti su cui lavoravamo non esistevano più. Abbiamo avuto paura del futuro e quando abbiamo ripreso guardavamo l’oggi in maniera molto più concreta e soprattutto, il Covid mi ha regalato l’esperienza del delivery.
Noi abbiamo iniziato con il delivery dopo meno di dieci giorni dalla chiusura, praticamente subito, e questo mi ha fatto cambiare l’approccio alla cucina. Io, da solo, dovevo pensare ad una proposta di venti piatti con un tot di porzioni e metterci dentro lo stoccaggio, il food cost e l’approvvigionamento. Tutta questa organizzazione me la sono portata poi nel processo quotidiano e nella ristrutturazione della quotidianità del ristorante alla riapertura.
Che richiesta avete avuto con il delivery?
Tantissima richiesta, soprattutto il primo anno. Noi siamo stati la prima proposta stellata, anche se non l’ho fatto con l’intento di portare Il Convivio dentro le case, ma di portare un momento conviviale all’interno delle case. Avevo ideato dei piatti alla portata di tutti, più quotidiani e meno impegnativi.
Come descriverebbe oggi la sua cucina?
E’ una cucina più marcata. Nel senso che sto cercando di fare come gli animali, ovvero marcare il territorio, lasciare il segno, nel mio caso nei piatti. Marcare il gusto ed il sapore nel piatto, una cucina più forte ma che rimane curiosa. Oggi lavoro con circa la metà dei piatti del pre-Covid e questo mi permette di poter cambiare in maniera più veloce, usare prodotti di breve stagione più facilmente, una cucina più dinamica, meno matura e con ancora tante cose da scoprire.
Andiamo in cucina… Come si porta un piatto della tradizione romana come l’amatriciana in un ristorante stellato?
Con l’incoscienza, l’inconsapevolezza e con un pizzico di fortuna. L’inconsapevolezza di fare un qualcosa che non sarebbe rimasto soltanto mio ma di tutti. Noi cuochi facciamo spesso l’esercizio di prendere dei piatti tradizionali e provare a smontarli, ricostruirli, girarci intorno ma poi con il tempo ci accorgiamo che non abbiamo migliorato nulla. La tradizione è forte, è il risultato di una storia celebrata e quindi provare a migliorarla è complicatissimo, ci proviamo tutti e ci dice quasi sempre male invece in questo caso, con l’amatriciana, sono stato fortunato.
Dico sempre che la fortuna non esiste ma mi sono dovuto ricredere, io non volevo trasformare un piatto della tradizione, per me sarebbe stato già tanto fare una buona amatriciana. Con l’intuizione del guanciale croccante, cosa che trent’anni fa non esisteva, al contrario di oggi, l’utilizzo di due pomodori: il pelato e il fresco in modo da avere una amatriciana dal sapore più rotondo e profumato. Poi l’utilizzo della cipolla come mi hanno insegnato a scuola, nell’antica ricetta abruzzese era presente anche la cipolla; poi abbiamo l’aceto, all’inizio usavo un aceto balsamico attirando molte critiche.
Nell’amatriciana c’è una parte acida che può essere vino o aceto, usavo il balsamico per avere un maggior profumo, oggi me lo assemblo da solo utilizzando aceti vecchi soprattutto di vino rosso aggiungendo ogni tanto un po’ di balsamico; questa è stata un’altra cosa che ha dato identità alla mia amatriciana, una amatriciana più affascinante. E’ in carta praticamente da sempre, ho provato a combatterla qualche anno fa ma poi mi sono arreso!
Rimanendo a Roma, solo un genio poteva trasformare la carbonara in un dolce! Come nasce? Ce la può raccontare?
Anche i clienti mi chiedono come ho fatto a pensare a questo piatto! Per me è stato un piatto di necessità, perché dopo il Covid in cucina sono passato dalle 12/13 persone alle 3/4 persone quindi molti “suppellettili” non potevano far parte di questo nuovo inizio, tra questi la pasticceria alla quale non potevo più dedicare troppo tempo. Dovevo creare un dolce dove io facevo le varie preparazioni, la “linea” come si dice in gergo, poi la sala avrebbe completato il piatto. Un altro motivo è stato proprio questo ovvero ricollegare il servizio di sala con il linguaggio del cliente che era diventato troppo asciutto e austero.
Ormai nei ristoranti stellati aveva valore solo l’immagine del cuoco invece non è così e dando la possibilità ai ragazzi di sala di finire i piatti ed essere anche loro protagonisti il cliente passa una serata più divertente, in compagnia e ha la possibilità di scoprire cosa facciamo e come lavoriamo grazie ai camerieri e la cosa ha funzionato molto.
In realtà l’idea iniziale era nata pensando alle virtù, un piatto tradizionale abruzzese tipico del 1° maggio fatto a base di legumi, cereali, farinacei, ortaggi… una specie di zuppa che volevo far diventare un dolce. Ma questa idea è durata un giorno, poi mi sono detto: “ma se faccio la carbonara?”, e così è stato! Facciamo una pasta soffiata molto croccante e friabile, poi aggiungo la crema pasticcera mescolata con ricotta e robiola che va a rappresentare la cremina della carbonara, il pecorino è diventato cocco fresco grattugiato, il guanciale diventa scorza di arancia candita a cui tolgo una parte di zucchero e poi affumico leggermente, infine le fave di cacao macinate sostituiscono il pepe.
Io consegno tutti gli elementi ai ragazzi di sala e loro condiscono e mantecano davanti al cliente. Non immaginavo tutto questo successo, doveva essere un momento per ricostruire la brigata di cucina invece non la posso più togliere perché i clienti me la chiedono, un altro colpo di fortuna!
Come personale siete tornati ai livelli pre-Covid?
In sala sì, in cucina no! L’esperienza del Covid e questa nuova impostazione della cucina mi hanno fatto capire che il troppo è come il poco, prima eravamo troppi ora invece gestisco e sfrutto molto meglio le energie a disposizione. Come ripeto eravamo 11/13 oggi siamo 7/9 a seconda della stagione.
Cosa bolle in pentola per il futuro?
In questo momento voglio divertirmi al Convivio, stiamo reinvestendo tanto per nuovi progetti ma dentro al Convivio. Sono tornato ad avere la gioia di stare qui dentro e vivermelo quotidianamente come quando avevo vent’anni. Poi ci sono delle cose fuori ma “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, quindi per il momento taccio. Però il mio impegno con me stesso e la mia felicità del momento è portare avanti Il Convivio il più possibile, non vedo il futuro fuori da qui. Sto ritrovando gusto e piacere a stare qui dentro, inoltre mai come in questo periodo abbiamo dei feedback molto positivi ed è una sensazione bellissima.
P.S. Come abbiamo già ricordato e raccontato in passato Alessandro Narducci e Giulia Puleio, chef e chef de rang di Acquolina, sono deceduti il 22 giugno 2018 in seguito ad un incidente stradale.
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