Potremmo essere di fronte a una di quelle comete annunciate con clamore ma poi destinate a un malinconico precoce epilogo in sordina, senza mai essere decollate. Oppure alle soglie di un altro fenomeno di costume dei nostri tempi.
Cos’è. Un social. L’idea aggregante è nel nome: si vogliono riprodurre le dinamiche dei circoli di una volta, ma nei modi di questo inizio XXI secolo.
E’ in rete. Ma non scrivi, non posti immagini, nè video; non metti file nè link ad altro. Solo voce: parli. Il tuo corredo è solo una sobria biografia con gusti e preferenze, al più il tuo indirizzo Twitter e Instagram; nient’altro.
Come funziona? Frattanto – almeno per il momento – devi avere almeno 18 anni ed essere presentato, come in ogni circolo che si rispetti. Ogni “socio” può presentarne due; e qui sta la prima bella novità: del tuo presentato tu sei responsabile; ciò vuol dire che se lui scantona (come sempre più spesso avviene nei social tradizionali) Clubhouse se la prende anche con te; quindi ti conviene soppesare bene chi far entrare a tuo nome.
Ti trovi di fronte delle stanze, create originariamente dagli organizzatori o successivamente da quelli come te; ogni stanza ha un titolo, legato all’argomento di cui si parla al suo interno. E si parla di tutto, dallo sport alla filosofia alle neuroscienze al gossip. Ci sono talk show di celebrità, eventi, speed dating, performance teatrali, “comizi”… Ovviamente il sistema ti prospetta quelle stanze che si avvicinano ai tuoi gusti, ricavati dalle domande a cui hai risposto all’ammissione, dai tuoi contatti e dalla tua storia passata nel circolo.
Ciascuna stanza ha un moderatore (anche più d’uno), e qui sta la seconda novità di spicco: molto spesso le stanze sono moderate da gente nota, di richiamo (Oprah Winfrey, per dire…). Su questo torneremo più avanti. Tutti i presenti sono in forma di avatar. Una volta entrato, puoi fermarti ad ascoltare o, all’occorrenza, chiedere la parola; che il moderatore al tuo turno ti darà. E’ bene che tu rispetti una rigida netiquette: ti presenti, fai interventi brevi, a voce. No turpiloquio, no becere tirate contro questo e quell’altro, no tutto quel bagaglio che oggi abbiamo acquisito come politicamente scorretto. I moderatori – che qui hanno un ruolo delicato ed essenziale alla sopravvivenza del progetto – servono anche a questo, e hanno regole per fermarti, sanzionarti o espellerti. Muti la tua postazione quando parlano gli altri.
Bene, gli ideatori – e i loro investitori, a quanto pare – ci fanno molto affidamento. Clubhouse nasce a fine primavera scorsa, ad opera di un imprenditore della Silicon Valley, Paul Davison, e di un ex impiegato, Rohan Seth. I soldi glieli dà una società di venture capital, 12 milioni di dollari per iniziare e poi, un paio di settimane fa, altri 100 milioni (!). Ai più distratti ricordiamo che è venture capital quel tipo di investimento che si fa “a scommessa” sulla riuscita futura di un’idea.
Non si sa a quanti ammontano ad oggi i soci di questo circolo: i più cauti dicono 600.000, fonti vicine all’azienda parlano di 2 milioni di utenti. Per ora quasi tutti negli Stati Uniti o comunque in lingua inglese; ma stanno nascendo molto in fretta comunità nei diversi Paesi e lingue; noi, con la recente ClubhouseItalia, non siamo da meno.
La tua voce, innanzitutto. Dopo decenni di crampi alle dita, di rozzi e insopportabili emoticon, di testi tutti maiuscoli per mimare l’alta voce o attrarre con mezzucci l’attenzione, ecco finalmente che qualcuno viene fuori riportando la voce – le sue sfumature infinite, il suo (a volte) magnetismo – al centro del villaggio, come diceva quell’allenatore. “We believe voice is a powerful medium for people to connect, share, learn and grow through authentic conversation. On Clubhouse anyone can be a creator by starting a room and hosting conversations”, ha detto un portavoce della Compagnia.
Poi appare una cosa nuova; incredibilmente più moderna, nonostante si basi sullo strumento meccanico (la voce) più antico del mondo. E conosciamo la nostra fregola del nuovo, del cool. Per esempio in certe stanze non si parla, si sta zitti, si medita; non vi sembra cool?
La privacy. Non sei rintracciabile, non sei registrabile, scaricabile e nemmeno puoi essere condiviso (ma su quest’ultima cosa ho dubbi, dato il traboccante narcisismo che popola la rete).
Puoi mentre fai altro. Bene, direi; se non altro diminuiranno incidenti d’auto e vittime prodotti dai conducenti monitor-compulsivi del sei connesso (lenocinio delle case automobilistiche che dovrebbe essere vietato, anziché pubblicizzato).
Puoi avere un incontro ravvicinato con una celebrity (per giunta senza il filtro del suo media manager). Tanto più ora che gli iscritti sono relativamente pochi. E dici niente?
E questo ci dà lo spunto per affrontare proprio, come anticipato, questo tema dei diciamo VIP. Che è soprattutto – e quando mai no? – una faccenda di soldi.
Gli organizzatori hanno immesso in questa fase pilota 40 influencer di successo (la nuova casta dell’online). A questi sono stati promessi incontri regolari coi fondatori ed accesso anticipato e prioritario a tool speciali pensati per i power users (utenti digitali sofisticati, che fanno cose sopra la media dei comuni mortali in rete).
Questa scelta di farsi trainare dagli influencer ha convinto gli investitori (venture…). E’ chiamata influencer economy, e ne sentiremo – ahimé – sempre più parlare.
Ma tutti gli altri creators che si vanno accalcando al crescere dei numeri, invitati a generare contenuti e tendenze all’interno del Circolo, come saranno trattati? Messi in gara fra loro per l’accesso (economico) all’olimpo degli Influenti? Istigati a stipulare brand deals (accordi con marchi per inserire i loro prodotti nei contenuti in maniera suggestiva (influente) come su YouTube)?
In effetti è così che si stanno muovendo; ma a questo punto è lecita la domanda: tutta questa libertà conclamata, tutto questo cool, tutto questo new age, non rischiano di ridursi ad una nuova, sempre più compromettente, manipolazione di teste (cuori manco a parlarne), pilotata dai soldi? Il Circolo non si rivelerà riservato a polli d’allevamento?
Dunque a Clubhouse occorreranno molti soldi. Come si fanno, se non puoi mettere la pubblicità? Se fai come alla radio, non è più nuovo, non è più cool.
Si dice: biglietto per entrare in una stanza. Si dice libere offerte da parte dei frequentatori (si fa per esempio su YouTube con gli youtuber più di grido, e funziona). Si dice abbonamento. Ci stanno pensando, perciò la fase beta, in cui siamo, si prolunga così a lungo: non è stata ancora trovata la formula.
Così come non si sa ancora come regolare il traffico se/quando gli iscritti diventeranno decine o centinaia di milioni; quando l’app necessaria sarà finalmente pronta anche per la piattaforma Android: ora è una prerogativa iPhone.
E gli altri, stanno a guardare? Per ora sappiamo solo che Twitter sta sperimentando uno “Spaces”; ma in tutta segretezza. E fretta, aggiungeremmo noi.
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